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Bosnia “ultima frontiera”, ecco come si può aiutare: “Bisogna restituire dignità”

La testimonianza da Bihać, in Bosnia, della coordinatrice dei progetti IPSIA-ACLI sulla rotta balcanica alla prima presentazione del nuovo dossier della rete RiVolti ai Balcani: la situazione dei migranti di Lipa (800 sono ancora bloccati sull’altipiano) e nel Paese, e alcune indicazioni per tutti coloro che desiderano mobilitarsi concretamente per offrire aiuti.

Lipa, gennaio 2021 (foto OIM).

«Dei 1.500 migranti di Lipa, sull’altipiano, in parte si sono spostati a Sarajevo in un campo sovraffollato, quello di Blažuj (con 3.300 persone anziché le 2.400 previste) e in parte a Bihać in ricoveri di fortuna. Ma 800 si trovano ancora fra gli scheletri del campo bruciato. Nell’ultimo mese abbiamo assistito a un braccio di ferro estenuante tra l’UE, il governo della Federazione e i governi locali e non si è trovato un compromesso. C’era il campo di Bira, nella municipalità di Bihać, però il governo cantonale e il Comune non hanno dato il permesso di riaprirlo. Così le 800 persone rimangono bloccate là sull’altipiano: lo saranno fino a un intervento strutturale, con un campo gestito ancora dall’OIM ma attrezzato diversamente da come era prima».

Silvia Maraone, coordinatrice per i Balcani dei progetti IPSIA-ACLI, ha testimoniato ieri dalla Bosnia ciò che sta avvenendo nella zona di Bihać dopo l’incendio che, sotto Natale, ha devastato il campo provvisorio di Lipa, a 30 chilometri dal capoluogo. Il suo intervento si è tenuto nell’incontro di prima presentazione del dossier I migranti senza diritti nel cuore dell’Europa della rete RiVolti ai Balcani, organizzato con Mediterranea Saving Humans.

Cannoni spara-aria contro il gelo

«Oggi a Lipa cerchiamo di sostenere i bisogni delle persone. I soggetti presenti sul territorio non sono numerosi – spiega Maraone -. Noi operiamo attraverso il contributo del nostro partner di sempre, la Caritas. E supportiamo la Croce rossa locale. Il governo bosniaco a Lipa ha montato 20 tende militari da 30 posti l’una. Ne abbiamo attrezzate alcune con cannoni “spara-aria” per provare a riscaldarle. Ci sono toilette chimiche, ma non sono certo adatte, a meno 10 sottozero».

Manca l’acqua corrente. I pasti sono forniti una volta al giorno dalla Croce rossa. Esiste una rete di organizzazioni e volontari che con la Croce rossa sta distribuendo abiti e scarpe. «Oggi arriverà un trasporto di legna. Ma qui serve un intervento strutturale. In Bosnia è “emergenza”, e da tre anni, ma che cosa accadrà nel prossimo inverno? È evidente che questo Paese rimarrà l’ultima frontiera prima dell’UE: bisogna che se ne parli, che si denunci quello che avviene».

I migranti in Bosnia
9.000 ca. I migranti “in transito” oggi presenti nel Paese.
6.000 ca. I migranti in transito alloggiati nei 5 campi ufficiali oggi attivi (a gestione OIM).
3.000 ca. I migranti in transito senzatetto o in insediamenti “informali”.
77 milioni di euro I fondi UE destinati all’aiuto di migranti e rifugiati in Bosnia all’OIM o attraverso l’OIM a partire dal giugno 2018.
Fonti: IPSIA-ACLI e OIM Bosnia 2021

Nel collo di bottiglia

La Bosnia-Erzegovina dal 2018 è il “collo di bottiglia” della rotta balcanica verso l’UE, «anche per tante famiglie, bambini e minori non accompagnati – sottolinea ancora Maraone –. Una “rotta” difficile: vi si muore nei fiumi ghiacciati, nei boschi, vi si scompare cadendo vittima di traffico». Il Paese è come schiacciato tra due flussi di migranti. Uno arriva da Serbia e Montenegro, proveniente dalla Grecia. Le persone giungono in un Paese ancora fragile dopo la guerra del 1992-1995, diviso, e trovano poca accoglienza. «Ma poi da nord ci sono i flussi di “rientro”, i migranti che subiscono i pushback, i respingimenti sommari dal confine croato, a 11 chilometri da dove mi trovo».

Da Maraone l’ennesima conferma: queste persone «sono vittime di violenze di polizia che non risparmiano famiglie e minori. Tutti i giorni, quando lavoriamo nei campi o negli insediamenti informali in edifici abbandonati o nei boschi, troviamo persone che sono state percosse, violate, in alcuni casi violentate».

Per chi vuole aiutare a Lipa e a Bihac

(Foto IPSIA-ACLI).
  • «In questo momento per Bihać non c’è bisogno di raccolte di abiti e cibo – ha chiarito Silvia Maraone alla presentazione del nuovo dossier di RiVolti ai Balcani -, e per diversi motivi: il Governo italiano ha stanziato un fondo di 500 mila euro per la Croce rossa bosniaca, una realtà “neutrale”. Stanno arrivando tre tir direttamente dall’Italia attraverso la Croce Rossa. Il magazzino della Croce rossa di Bihać è abbastanza rifornito, anche perché con RiVolti ai Balcani abbiamo già fatto un giro con un tir di materiali raccolti soprattutto in Piemonte grazie a un network di cittadini e associazioni. Anche per aggirare le difficoltà logistiche è preferibile acquistare materiale nuovo, anche per sostenere qui l’economia locale».
  • Piuttosto, «ora stiamo ragionando per realizzare tende refettorio, una tenda ambulatorio, cucine collettive, servizi di bagni e acqua per poter vivere, o meglio sopravvivere, in attesa che un nuovo campo sia allestito secondo criteri umanitari adeguati. Fra l’altro, anche per il COVID-19 non è facile arrivare in Bosnia come volontari: a cavallo del primo dell’anno alcuni volontari arrivati in maniera autonoma sono stati arrestati…».
  • In futuro si deciderà cosa fare, magari con presenze di volontari a scaglioni periodici, e non solo di “professionisti dell’emergenza”: in luoghi-limbo come i campi di Grecia e dei Balcani «donne, uomini e bambini hanno bisogno di relazione: come restituire loro una dignità? Le possibilità non mancheranno. Però in questo momento la priorità è la raccolta fondi per agire in modo infrastrutturale».
  • Le info per donare con RiVolti ai Balcanicon l’IPSIA-ACLI.  

 

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