Il 31 dicembre è un fine anno particolare per le 22.000 persone rimaste in Italia in seguito alla ribattezzata “emergenza Nord Africa”. In realtà ne erano arrivate molte di più, oltre 60.000, ma più della metà sono state rispedite indietro in quanto tunisini, definiti “a prescindere” migranti per motivi economici.
I tunisini quindi non sono stati nemmeno presi in considerazione dalle Commissioni territoriali che stabiliscono chi sia un possibile titolare di una qualche forma di protezione internazionale. Alcune migliaia, poi, sono passati in altri Paesi o sono ritornati indietro. Si arriva così al numero di 22.000. L'”emergenza” è stata gestita dalla Protezione Civile e una bella inchiesta de “L’Espresso” ci racconta come sia stato speso quel mare di soldi destinato alla sua gestione. Ma più ancora, questa inchiesta, ci racconta per che cosa, quei soldi, non sono stati spesi. La cifra stanziata prevedeva che i soggetti attuatori fornissero vitto e alloggio, ma insieme a questo nessun progetto di reinserimento territoriale, di creazione di una rete locale di accoglienza, di avviamento di queste persone a una vita autonoma ha visto la luce, pur con la presenza di qualche rara eccezione.
Adesso però è il momento in cui i nodi vengono al pettine. Tra un mese e mezzo i 22.000 saranno messi in mezzo a una strada da albergatori, cooperative sociali, associazioni che li hanno ospitati per questi mesi, dato che al 31 dicembre scade la convenzione con la Protezione Civile. Di questi 22.000 circa il 30% ha avuto un permesso di soggiorno per motivi umanitari, mentre praticamente tutti quelli a cui è stato negato (70%) hanno fatto ricorso e i procedimenti non sono ancora conclusi. Che faranno quando, tutti quanti, il mattino del 1° gennaio, saranno invitati a fare il loro bagagli per uscire dai posti presso cui hanno abitato per mesi? Alle situazioni denunciate dall’inchiesta de “L’Espresso” (particolarmente inquietante quello che avviene in Campania), aggiungiamo alcuni dati su quanto sta per avvenire in Piemonte. In questa regione sono attualmente presenti 1550 persone dell’“Emergenza Nord Africa” (anche qui il 30% è ora in possesso di un permesso di soggiorno per una qualche forma di protezione internazionale). Tra queste 200 sono ritenuti “soggetti vulnerabili”, ovvero portatori di patologie croniche o infettive, con disagio psichico oppure genitori soli con figli piccoli o donne in stato di gravidanza. In situazione di “normalità” in Piemonte è prevista l’accoglienza, tra sistema nazionale e Comune di Torino, di circa 350 rifugiati politici, ma di questi posti i 200 gestiti dal Comune sono in “scadenza” (fine ottobre) e in attesa di rinnovo di finanziamento non ancora assegnato. Naturalmente sono sono solo 350 i rifugiati politici in Piemonte e infatti almeno altre 200, 300 persone vivono a Torino in stabili occupati e “tollerati” dalle istituzioni anche perché se pure venissero sgomberati questi stabili, non ci sarebbero poi case o posti che potrebbero accoglierli. Se quindi la situazione di normalità è già fortemente critica, non è difficile immaginare quali problemi sorgeranno quanto, il 1° gennaio 2013, altri 1550 tra rifugiati riconosciuti o quanti non lo sono stati, ma per i quali pende ancora ricorso, si ritroveranno per la strada senza un posto in cui dormire.
La sensazione è che le istituzioni a tutti i livelli, da quella locale fino al Ministero, non si siano ancora rese conto che la presenza di rifugiati politici e l’arrivo di richiedenti asilo non è un’emergenza, ma un fatto strutturale che durerà fino a che guerre, violenze, dittature saranno presenti nel mondo. Possono aumentare o diminuire i flussi, a seconda di dove si verifichi un particolare fatto eccezionale, ma non cesserà certo il fenomeno in quanto tale. In più parti di Italia e a partire da Emilia Romagna, Lombardia e Piemonte, associazioni, gruppi, cooperative che in questi anni hanno cercato un approccio diverso alla questione, si stanno incontrando proprio in queste settimane per provare a lanciare alcune proposte che superino la logica dell’emergenza e per fare sì che un diritto sancito dalla Convenzione di Ginevra possa essere davvero ritenuto tale.
La Rete “Emilia Romagna terra d’asilo”(a cui aderiscono anche istituzioni locali) ha tenuto il 23 ottobre un incontro proprio su questi temi, mentre in Piemonte il Coordinamento “Nonsoloasilo” (che ha deciso di non partecipare alla gestione dell’”Emergenza Nord Africa” e che è composto da soli soggetti del privato sociale), ha organizzato a Torino un convegno il 10 novembre dalle 9,30 alle 13,00 presso la sede di Ideasolidale, in Corso Novara, 64. L’obiettivo di questi incontri è stato, da un lato, di fare emergere la gravità della situazione a poche settimane dalla scadenza del 31 dicembre e dall’altro di offrire alcuni punti fermi perché la questione di rifugiati politici e richiedenti asilo possa, finalmente, superare l’eterna “fase dell’emergenza” per essere affrontata per quello che è, un fenomeno della storia del nostro tempo.
LINK:
http://sociale.regione.emilia-romagna.it/rifugiati/progetti/terra-dasilo
www.nonsoloasilo.org
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