Alla fine, alla “Cop 21” di Parigi sabato 12 si è raggiunto un Accordo più o meno «storico», a seconda dei punti di vista, incluso quello dei Paesi più in difficoltà del pianeta. Con tutte le sue debolezze, il documento che elenca le decisioni prese per realizzare l’Accordo, alla discussa voce “Loss and damage” (perdite e danni), al n. 50 dà indicazioni per giungere almeno ad alcune «raccomandazioni» per «impedire, ridurre e affrontare lo sradicamento legato all’impatto negativo del cambiamento climatico». Vale a dire, per affrontare il problema dei cosiddetti “rifugiati ambientali”. Il punto sull’argomento in un piccolo dossier di Vie di fuga.
Il clima cambia, (anche) a causa dell’attività umana. E l’ultimo secolo ha visto crescere drammaticamente i disastri naturali, benché a partire dal 2000 sembri essersi innescato un trend in diminuzione, come certificano i dati del CRED (Centre for Research on the Epidemiology of Disasters) di Bruxelles.
In maggior parte sono eventi causati proprio dal cambiamento climatico: tempeste, uragani, alluvioni, siccità. Per qualcuno sono la «nuova normalità». Sradicano dalle loro terre milioni di persone. Ma ancora non riusciamo a monitorare con precisione i flussi migratori forzati che innescano, cioè i cosiddetti “rifugiati ambientali”.
In fuga dai disastri, quasi sempre climatici
Le stime più attendibili ad oggi rimangono quelle, parziali, dell’IDMC (Internal Displacement Monitoring Centre) sugli sfollati interni causati sia da disastri climatici che geofisici (terremoti, eruzioni vulcaniche). Il solo 2014, ultimo anno disponibile, ne ha prodotti in totale 19,3 milioni, perlopiù in Asia.
Di questi, ben 17 milioni e mezzo, il 91%, sono stati costretti a fuggire dalle proprie case a causa di disastri climatici. A partire dal 2008, anno del primo monitoraggio IDMC, l’andamento del fenomeno è altalenante.
Precisazione indispensabile: l’IDMC, che fa capo a un’ONG indipendente, il Consiglio norvegese per i rifugiati, avverte che le proprie stime non tengono conto degli effetti indiretti di siccità, degradazione dei suoli, incidenti industriali o nucleari ed epidemie.
Proiezioni più aleatorie sintetizzate dal recente Rapporto sulla protezione internazionale 2015 di ANCI, Caritas, Migrantes, Cittalia e SPRAR in collaborazione con l’UNHCR, che dedica al tema un intero capitolo, prevedono attorno alla metà di questo secolo 200 milioni di “migranti del clima”, di cui 50 milioni solo in Africa.
Sarebbero 100 milioni, invece, le persone esposte entro il 2100 «a un serio rischio di inondazione delle coste». (continua nella news successiva)
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