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Climate limbo – di Francesco Ferri e Paolo Caselli – scritto da Elena Brunello – Documentario – 40′ – Dueotto Fim – Italia 2019
Il documentario, appena presentato all’edizione 2019 del festival torinese “Cinemambiente”, introduce in modo efficace e incisivo alle connessioni fra mutamento climatico, disastri ambientali e migrazioni in Africa, Asia ed Europa.

Un misterioso lago alpino nella foschia, circondato da rocce e conifere. E il suono penetrante e continuo di una sirena d’allarme. Ecco la scena che apre e chiude questo documentario bello e incisivo sulla connessione fra mutamento climatico, disastri ambientali e migrazioni.

Immagini di un vasto ghiacciaio svizzero in ritirata, boschi, campi, terra inaridita e attività umane anche minute (fosse pure un domestico fornello del gas e lo scarico di un lavandino) si alternano alle testimonianze di due “rifugiati ambientali” e di un’avvocatessa dell’ASGI, di un glaciologo e di un fisico climatologo, ma anche di un agricoltore, di un apicultore e di un’allevatrice alle prese con l’aumento delle temperature, la perdita di biodiversità e i rischi della siccità anche nel Nord Italia: non solo al Sud, quindi, dove si registrano sintomi di vera e propria desertificazione, come del resto in tutta l’area del Mediterraneo.

«Da noi la Chevron estrae petrolio ma non ne traiamo vantaggio – racconta Queen, giovane nigeriana -. I posti di lavoro non sono per la gente del luogo». Anche per il fenomeno del bunkering (i furti di petrolio dalle condutture) il greggio si riversa nei fiumi e rende incoltivabile la terra. Queen, arrivata in Italia, ha ottenuto la protezione umanitaria. Ma oggi il suo permesso di soggiorno è in scadenza e potrebbe non essere rinnovato. «Mi sento intrappolata in un limbo».

Il giovane Rubel invece, nato e cresciuto in una famiglia di coltivatori di riso in Bangladesh, è fuggito dalle inondazioni. «Nel mio Paese l’acqua mangia la terra: bisogna vivere ma manca il lavoro». Pure lui ha chiesto asilo in Italia per questi motivi, però gli è stato rifiutato due volte, anche se ormai ha trovato lavoro come apicultore.

I mutamenti di clima mettono in movimento le persone fin dall’alba dell’umanità. Ma oggi i cambiamenti si sono fatti molto più rapidi, a causa dell’effetto serra indotto dal consumo di combustibili fossili. «L’ambiente non è un lusso – avverte, se ce ne fosse ancora bisogno, il climatologo intervistato in Climate limbo -. Oggi si negano questi risultati solo perché non si conosce il metodo. Un problema di scarsa cultura scientifica, di sensibilità e di comprensione che va affrontato».

Intanto il “limbo” dei “rifugiati climatici” o più in generale “ambientali” rimane soprattutto giuridico. Come è noto, la loro condizione non è riconosciuta nel sistema d’asilo internazionale. La Convenzione di Ginevra del 1951 ha sancito la protezione rispetto al timore di persecuzione individuale. Negli ultimi decenni si è codificata la protezione sussidiaria da eventi di guerra e violenza generalizzati.

Per i disastri ambientali e la degradazione ecologica c’è qualche spazio (in Italia c’era fino al decreto immigrazione e sicurezza) nella protezione umanitaria. «Una base giuridica non è impossibile – chiarisce l’avvocatessa dell’ASGI Anna Brambilla -. Le proposte si suddividono in tre approcci globali: non modificare la normativa internazionale ma stimolare le applicazioni giurisprudenziali, “aggiornare” Ginevra (nata in un mondo diviso in due blocchi che non esiste più) oppure mettere a punto un testo aggiuntivo».

Fra 2008 e 2014, informa sempre Climate limbo sulla base di dati dell’Internal Displacement Monitoring Centre di Ginevra, sono più di 180 milioni le persone sradicate nei confini del proprio Paese a causa di disastri ambientali, fra cui i fenomeni a “lenta” insorgenza come la siccità. Non è facile stimare gli sfollati interni poi fuggiti all’estero (si tratta comunque di milioni). Ma è una sfida che interessa anche l’Italia. Doppiamente anche l’Italia: «Il cambiamento climatico investe anche il nostro stesso Paese – sottolinea ancora Brambilla -. Possiamo innalzare muri contro i “rifugiati climatici”. Ma se un giorno a trovare muri sbarrati fossero i nostri figli in cerca di terre più abitabili…?».

Qui sotto il trailer di Climate limbo, che è stato proiettato in questi giorni all’edizione 2019 del festival Cinemambiente di Torino.

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