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“Col decreto sicurezza rischiamo 600 mila irregolari entro il 2020 e un aumento dei costi socio-sanitari sui territori”. La protesta dei Comuni nel giorno della presentazione dell’Atlante SPRAR 2017

Lo SPRAR funziona: rispetto al 2016 più 9% di accolti, mentre gli ospiti usciti dai progetti dopo aver concluso il proprio percorso di integrazione con una casa e/o un lavoro sono cresciuti dal 41% al 43%. Ma ora, con l’iter di conversione del decreto sicurezza e immigrazione, secondo l’ANCI si rischia di «privilegiare il sistema privato, quello delle grosse concentrazioni, quello dei centri straordinari sui territori, gestiti in molti casi da operatori che nulla hanno a che fare con l’erogazione di servizi alla persona». Mentre «la precarizzazione della posizione dei migranti sul territorio» rischia di causare «un aumento esponenziale delle persone in condizioni di irregolarità», che ingrosseranno le file del lavoro nero, delle occupazioni abusive e quindi del degrado.

Nel 2017 i progetti SPRAR hanno accolto 36.995 persone, il 9% in più rispetto alle circa 34 mila del 2016. Nel ’17 il 90% degli ospiti della rete degli enti locali hanno trovato accoglienza nei progetti ordinari, il 2% in quelli per disabili e disagio mentale e l’8% in quelli per minori stranieri non accompagnati.

Cliccare per ingrandire: gli accolti nelle regioni per categoria di progetto SPRAR (DM/DS = categorie vulnerabili disagio mentale e disabilità; fonte Atlante SPRAR 2017).

Sempre l’anno scorso, ovviamente l’ultimo anno con dati consolidati, il 36% degli accolti era richiedente asilo, un altro 36% titolare di protezione umanitaria, il 14% di protezione sussidiaria, il 12% ha ottenuto lo status di rifugiato e al 2% è stato riconosciuto un permesso per minore età.

Ma il nuovo Atlante SPRAR 2017 del Servizio centrale SPRAR e della Fondazione Cittalia, presentato ieri a Roma, aggiorna un’altra serie di indicatori importanti, quelli relativi ai “motivi di uscita dai progetti”.

Rispetto al 2016, si legge nel rapporto, la percentuale degli ospiti usciti dallo SPRAR dopo aver «concluso il proprio percorso di integrazione» con una casa e/o un lavoro è cresciuta dal 41% al 43%. In aumento anche gli usciti che hanno concluso il percorso di accoglienza con gli «strumenti utili all’integrazione», dal 26% del ’16 al 31% del ’17. Diminuisce, di contro, la quota di coloro che lasciano il progetto in anticipo (dal 29,5% al 24%) e per allontanamento (dal 3,5% al 2%). Immutata nel biennio la percentuale dei rimpatri volontari.

La rete, i primi dati 2018 (e l’eterno status di minoranza)

Lo SPRAR, cioè la “rete” degli enti locali che realizzano servizi di accoglienza e integrazione con le risorse pubbliche del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo (FNPSA), nato nel 2002, è arrivato a contare alla metà di questo 2018 2018 877 progetti territoriali di accoglienza, 1.825 Comuni interessati come titolari di servizi, sedi di strutture o partner e 35.881 posti di accoglienza, di cui 3.500 per minori stranieri non accompagnati e 734 per persone con disagio mentale o disabilità (dati SPRAR-Cittalia 2018). Ma è rimasto un’esperienza di minoranza in rapporto al totale dei richiedenti asilo e rifugiati in accoglienza nel nostro Paese: i 1.825 “Comuni SPRAR” sono appena il 23% del totale dei Comuni italiani. E nel 2017 ben l’80% dei migranti in accoglienza nel nostro Paese era ospitato nei centri di accoglienza straordinaria, i CAS (dato Openpolis-ActionAid 2018).

Ancora dal nuovo Atlante: «Il sistema SPRAR funziona bene ed è uno strumento importante per i sindaci che hanno necessità di tutelare i propri territori e gestire anche i fenomeni più complicati con efficacia, indipendentemente dalle singole posizioni politiche. Lo SPRAR, organizzato direttamente dai Comuni, permette un controllo più stretto, una formazione e un percorso di inclusione delle persone che arrivano sul territorio che facilita l’ingresso nella società senza tensioni».

Altrettanto non si può dire, si legge ancora nel rapporto, dei grandi centri di accoglienza straordinaria gestiti dalle Prefetture: «Pur con tutte le cautele del caso, estromettendo di fatto i sindaci da qualunque possibilità di controllo e gestione, rischiano di impattare sui territori in maniera troppo pesante, soprattutto nei piccoli contesti urbani o nei quartieri più complicati».

I Comuni: “Il Dl 113? 600 mila irregolari e costi pesanti sui territori”

Nel giorno della presentazione dell’Atlante SPRAR 2017 non poteva non emergere la preoccupazione di tanti Comuni e dell’ANCI per il decreto sicurezza e immigrazione approvato nei giorni scorsi dal Senato. Queste le inquietanti «prospettive alla luce del decreto 113/2018» secondo l’Associazione dei Comuni italiani.

«I provvedimenti contenuti nel decreto rischiano di privilegiare il sistema privato, quello delle grosse concentrazioni anche in piccoli Comuni, quello dei centri straordinari sui territori, gestiti in molti casi da operatori economici che nulla hanno a che fare con l’erogazione di servizi alla persona – afferma senza mezzi termini l’ANCI -. Il sistema, in una parola, che più problemi ha creato ai sindaci e alle comunità, che non hanno strumenti per poter incidere sulla pianificazione territoriale dell’accoglienza».

Ma anche: «L’ulteriore aspetto di carattere generale riguarda la scelta, insita nel provvedimento, di complessiva precarizzazione della posizione dei migranti sul territorio. In primo luogo, cancellando la protezione umanitaria, si dà luogo ad un rischio di aumento esponenziale delle persone in condizioni di irregolarità che, in assenza di concrete politiche di incentivi al rimpatrio, sono obbligatoriamente destinate a ingrossare le file del lavoro nero, dell’irregolarità, delle occupazioni abusive, e quindi del degrado. Le stime dell’ISPI parlano di un aumento delle persone irregolari di 110.000-120.000 unità nei prossimi due anni, che porterebbero il numero complessivo a 600.000 persone irregolari entro il 2020. Non può sfuggire a nessuno quanto questo dato desti preoccupazione agli amministratori locali, senza distinzioni politiche di sorta».

«In secondo luogo – rincarano i sindaci – con il provvedimento lo Stato si ritira dalla presa in carico dei richiedenti asilo in condizioni di vulnerabilità, mantenendo solo servizi a bassa soglia. Tutto il resto ricade dunque interamente sui servizi socio-sanitari dei territori: si tratta di persone portatrici di fragilità anche gravi, la cui esistenza non può essere cancellata per decreto, che è impensabile che vengano gestite nei centri a bassa e bassissima soglia dei CAS».

L’ANCI ha proposto vari emendamenti almeno migliorativi del DL 113 alla Commissione Affari costituzionali del Senato. Non ne è stato accolto nessuno (v. sotto negli Allegati).

 

Progetti SPRAR & lavoro (& più reddito sul territorio)

Nei territori in cui sono attivi, i progetti e le presenze SPRAR generano (anche) lavoro e maggior reddito pro capite.

  • Nel 2017 hanno lavorato nei progetti SPRAR per adulti 11.734 operatori, il 12% full time, il 60% part time e il 25% come collaboratori esterni (fonte Atlante SPRAR 2017).
  • Sempre nel ’17, sono 4.124 i beneficiari dei progetti SPRAR che hanno trovato lavoro (2.842 gli inserimenti lavorativi nel 2016) (fonte Atlante SPRAR 2017 e 2016).
  • Secondo uno studio di cui sono stati presentati i risultati su Lavoce.info (Se i rifugiati danno posti di lavoro agli italianiautori F. Amodio, A. Martelli e M.Ch. Paoli), nei comuni con progetti SPRAR ogni presenza in più nei progetti genera una crescita dello 0,09% del reddito imponibile pro capite al netto dei costi dei progetti stessi (i noti 35 euro al giorno per rifugiato).

Allegati

L’Atlante SPRAR 2017 (file .pdf, 5 mbyte)

Le “Prospettive alla luce del decreto 113/2018” (ANCI, file .pdf, 15 novembre 2018)

 

 

 

 

 

 

 

 

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