Nell’iniziativa di ricerca e azione Àncora sono stati 76 i rifugiati che hanno usufruito di forme di accompagnamento mirate all’inserimento socio-economico fra Parma, Trieste, provincia di Brescia e provincia di Torino: 65 casi hanno avuto un esito positivo e 59 si sono tradotti in un’autonomia socio-economica. Il progetto inoltre ha permesso la formazione di sei “équipe multidisciplinari per l’integrazione” e la nascita di un take away siriano e di una cooperativa sociale di servizi.
«L’attuale congiuntura storica appare decisiva per ripensare il diritto d’asilo e con esso le forme e le modalità di una accoglienza che non può che essere proiettata verso la nuova cittadinanza interculturale. Ciononostante, sono ancora pochi i contributi scientifici che esplorano la relazione tra accoglienza, integrazione e relazioni interculturali. E ancora meno quelli che hanno direttamente affrontato il tema della sfida del contatto e della trasformazione reciproca con le società d’asilo… Nonostante l’urgenza di definire il termine “integrazione” e di qualificarlo, sono stati intrapresi pochissimi lavori empirici per esplorare le circostanze in cui si verifica l’integrazione dei rifugiati e quali siano i bisogni, percezioni, aspettative e desideri di questi ultimi».
Sono le premesse da cui è partito Àncora, un progetto finanziato con fondi FAMI (il Fondo asilo, migrazione e integrazione) e realizzato a Parma, nel bresciano (territori di Brescia città e Val Camonica), nel torinese (territorio di Ivrea-Chivasso) e a Trieste fra 2017 e 2018.
Gli obiettivi
L’obiettivo generale di questa inedita iniziativa di ricerca e azione, come si legge nel rapporto finale di progetto presentato in queste ore a Parma, era «l’accompagnamento di titolari di protezione internazionale in uscita dai progetti SPRAR verso sperimentazioni innovative per il completamento del percorso di autonomia, e la creazione di sistemi territoriali stabili e permanenti che consentissero ai rifugiati di gestire in modo più consapevole l’uscita dai progetti e la definizione dei loro percorsi».
Sei, invece, gli obiettivi specifici. Primo, la definizione di un sistema territoriale a sostegno del percorso di autonomia, che si esprimesse attraverso un’équipe multidisciplinare. Secondo, la definizione di una fase di orientamento del beneficiario all’uscita dallo SPRAR «che fungesse da raccordo con il sistema territoriale e fosse integrata in modo stabile nel modus operandi degli enti gestori». Terzo, la creazione di occasioni per i beneficiari di costruzione protagonista e responsabile del proprio progetto personalizzato (raccordo tra SPRAR e post-SPRAR).
Quarto obiettivo, il rafforzamento di legami di comunità tra beneficiari e territori attraverso l’individuazione di “tutor territoriali”, cioè gruppi locali (parrocchie, associazioni, circoli, gruppi informali, ecc….) che intraprendessero con il beneficiario un percorso condiviso di integrazione territoriale e comunitaria. Quinto, la realizzazione di piani individuali per interventi mirati di inserimento socio-economico, con l’obiettivo di «facilitare la diffusione di un’accoglienza capillare e condivisa sul territorio e la costruzione di legami di comunità».
E infine, sesto obiettivo, l’elaborazione di linee guida nazionali per la creazione di un modello organizzativo su base territoriale «che raccordi stabilmente enti locali, servizi pubblici socio-economico-sanitari e soggetti del terzo settore per l’inclusione dei titolari di protezione internazionale».
I numeri
Nel corso del progetto sono stati definiti 87 piani individuali di integrazione territoriale (P.I.I.T.), «che si sono poi concretizzati in 80 casi, pari al numero complessivo di destinatari presi in carico». Sono 76 le persone che hanno usufruito di forme di accompagnamento mirate all’inserimento socio-economico: «65 casi hanno avuto un esito positivo e 59 si sono tradotti in un’autonomia socio-economica».
Nei cinque territori in cui il progetto si è svolto sono state costituite sei “équipe multidisciplinari per l’integrazione”.
Nel novembre 2018 ha aperto a Brescia “La casa siriana”, un take away gestito dal signor Mohammed e dalla sua famiglia, fuggiti nel 2013 dalla guerra in Siria e accolti prima in Turchia e poi in Italia grazie a un programma di resettlement. Mentre a dicembre è nata a Parma “Passo a passo”, una cooperativa sociale di servizi. Come soci fondatori, tre beneficiari di Àncora. La cooperativa «ha individuato come principale tipologia di attività la costituzione di uno spazio bimbi-ludoteca, in cui i bambini italiani e stranieri potranno godere di attività ludiche ed educative multiculturali».
Cinque raccomandazioni (e una constatazione)
Il rapporto finale Àncora: la sfida dell’integrazione e dei legami interculturali (disponibile in allegato) contiene fra l’altro quattro contributi che presentano i risultati della ricerca sul campo, i resoconti del progetto nei cinque territori. E cinque “raccomandazioni” emerse dall’esperienza, che «insistono sul principio cardine dell’integrazione come processo diacronico, che si sviluppa attraverso fasi progressive pur in un contesto di continuità territoriale, dove è possibile una reale esigibilità dei diritti all’interno di un sistema pubblico e la costruzione di un sistema relazionale culturalmente».
I curatori del rapporto osservano a questo punto che tali principi «si scontrano oggi, a conclusione del progetto, con una profonda riforma del sistema asilo, inverata dalla legge 132 del 1° dicembre 2018» (cioè la conversione del cosiddetto decreto immigrazione e sicurezza), che ha imposto «un quadro completamente inedito, ancora troppo recente per essere compreso nei suoi effetti ma certamente fuori dalle linee di sviluppo degli ultimi 15 anni».
I partner del progetto Àncora sono stati il CIAC-Centro immigrazione asilo cooperazione internazionale di Parma e provincia (capofila), l’ADL Zavidovici-Associazione per l’ambasciata della democrazia locale a Zavidovici, la cooperativa sociale K-pax, Mary Poppins SCS, l’ICS-Consorzio italiano di solidarietà-Ufficio rifugiati e inoltre i Comuni di Parma, Brescia e Malegno.
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