All’ultimo Consiglio Europeo i capi di Stato e di governo hanno dichiarato di mirare a «un approccio globale alla migrazione che combini il rafforzamento dell’azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’UE e la dimensione interna, nel rispetto del diritto internazionale, dei principi e dei valori dell’UE, nonché della tutela dei diritti fondamentali». Ma numerosi organismi che fanno parte del Tavolo asilo e immigrazione si sono espressi con severità sulle conclusioni di Bruxelles: «Costruire muri, finanziare ulteriori iniziative di sorveglianza aerea e rafforzare il controllo delle frontiere non impedirà alle persone di rischiare la vita in cerca di sicurezza in Europa. Al contrario, queste misure le esporranno a maggiori rischi per chiedere protezione».
Un’azione rafforzata per «prevenire le partenze irregolari e la perdita di vite umane, ridurre la pressione sulle frontiere dell’UE e sulle capacità di accoglienza, lottare contro i trafficanti e aumentare i rimpatri». Non fosse abbastanza chiaro, la ri-sottolineatura su «una politica unificata, globale ed efficace dell’UE in materia di rimpatrio e riammissione», sia pure con «un approccio integrato alla reintegrazione»: obiettivo esplicito, quello di «accelerare le procedure di rimpatrio». L’invito all’agenzia Frontex a dare orientamenti per estendere il ricorso ai concetti di “Paese terzo sicuro” e “Paese d’origine sicuro”. E la richiesta alla Commissione Europea «di mobilitare immediatamente ingenti fondi e mezzi dell’UE per sostenere gli Stati membri nel rafforzamento delle capacità e delle infrastrutture di protezione delle frontiere (leggi, purtroppo, “muri”, reti e barriere di filo spinato), dei mezzi di sorveglianza – compresa la sorveglianza aerea – e delle attrezzature.
Sono quattro fra i propositi e i richiami emersi alla voce “migrazione” dal Consiglio Europeo tenutosi nei giorni scorsi a Bruxelles. Il documento finale della riunione riconosce anche «la specificità delle frontiere marittime, anche per quanto riguarda la salvaguardia delle vite umane». Richiama a «una cooperazione rafforzata in ordine alle attività di ricerca e soccorso». Invita poi l’Europarlamento a proseguire i lavori sul patto sulla migrazione e l’asilo, sulla revisione del Codice frontiere Schengen riveduto e, di nuovo, sulla direttiva rimpatri. Infine, «prende atto» che la presidenza di turno svedese intende discutere alla prossima sessione del Consiglio “Giustizia e affari interni”, il 9 e 10 marzo, dell’attuazione della tabella di marcia di Dublino e dell’«impegno effettivo dell’UE alle frontiere esterne, anche per quanto riguarda le operazioni di entità private (cioé le ONG)».
L'”approccio globale” delle barriere
Nel complesso, i capi di Stato e di governo dichiarano di mirare a «un approccio globale alla migrazione che combini il rafforzamento dell’azione esterna, un controllo più efficace delle frontiere esterne dell’UE e la dimensione interna, nel rispetto del diritto internazionale, dei principi e dei valori dell’UE, nonché della tutela dei diritti fondamentali».
Ma numerosi organismi che fanno parte del Tavolo asilo e immigrazione (TAI), fra cui la rete Europasilo, si sono espressi con severità sulle conclusioni Bruxelles. «Il Consiglio Europeo straordinario del 9 febbraio – affermano in una nota – si è chiuso rilanciando, sulle questioni che concernono la migrazione , le preoccupanti indicazioni proposte dalla Commissione già il 21 novembre scorso, in continuità con una politica migratoria europea che dal 2015 è sempre più restrittiva e miope».
Per le associazioni le decisioni prese vanno in senso contrario rispetto a politiche «che ad oggi non solo appaiono necessarie, ma si dimostrerebbero sicuramente più efficienti ed efficaci».
«Costruire muri, finanziare ulteriori iniziative di sorveglianza aerea e rafforzare il controllo delle frontiere – spiega la nota – non impedirà alle persone di rischiare la vita in cerca di sicurezza in Europa. Al contrario, queste misure non faranno altro che costringere le persone a correre maggiori rischi per poter richiedere protezione, mettendole ancor più nelle mani dei trafficanti di esseri umani e costringendole a fuggire attraverso rotte sempre più pericolose. L’esternalizzazione delle frontiere e dei controlli si fonda sulla stessa retorica del Patto su asilo e migrazione: gestire i flussi “irregolari”, contrastare il traffico di esseri umani senza fornire nuovi canali di accesso legali e sicuri ai cittadini di Paesi terzi».
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