A Nord come a Sud, gradino gradino dopo gradino, le frontiere europee esterne e interne nel giro di pochi anni sono diventate linee iper-presidiate, ma anche spazi nei quali diritti, norme, convenzioni e leggi sono sempre più labili, messi in discussione, violati.
Nel “caso” Bardonecchia del 30 marzo forse è meglio lasciar perdere l’orgoglio patrio ferito.
Piuttosto, varrebbe la pena di ragionare su ciò che nel giro di qualche anno, gradino dopo gradino, i governi nazionali e l’UE hanno fatto delle frontiere “dei migranti”, quelle che attraversano l’Europa democratica e “fraterna” e quelle che circondano l’Unione: linee iper-presidiate ma anche spazi indefiniti nei quali diritti, norme, convenzioni e leggi sono sempre più labili, messi in discussione, violati.
La cronaca di oggi, le prassi di ogni giorno
Trattati, accordi e codici alla mano, i giuristi dell’ASGI hanno analizzato i fatti accaduti nella cittadina piemontese e ricordato come questa vicenda «si inserisca nel quadro di un insieme di comportamenti delle autorità francesi che ha visto anche altre gravissime violazioni di diritti fondamentali, in particolare nei confronti dei minori stranieri non accompagnati, respinti in Italia in violazione delle garanzie previste dalla normativa francese, e di altri soggetti particolarmente vulnerabili quali donne in avanzato stato di gravidanza».
“Arrivate pure in zona, ma questi devono tornare in Libia”
Nel frattempo, a Sud, il recente sequestro della nave dell’ONG Proactiva Open Arms ha fatto venire a galla inquietanti retroscena: sarebbe la Marina italiana a coordinare, di fatto, i “soccorsi” delle motovedette libiche, con risvolti non di poco conto sul piano delle responsabilità del nostro Paese per il “contenimento” in Libia, in condizioni degradanti, di migliaia di migranti che avrebbero tutto il diritto almeno di chiedere asilo in Italia.
Ma intanto le cronache del mare incalzano con un nuovo episodio. La mattina di sabato 30 marzo il Centro di coordinamento del soccorso marittimo (MRCC) di Roma ha allertato la nave Aquarius – armata in collaborazione da Medici senza frontiere (MSF) e SOS Méditerranée – e la Guardia costiera libica per un gommone in difficoltà nel Canale di Sicilia, in acque internazionali, con a bordo 120 migranti.
La Aquarius è arrivata prima della nave libica, ma ha ricevuto l’ordine di aspettarla perché dei soccorsi “doveva” occuparsi quest’ultima. L’equipaggio di MSF e SOS Méditerranée ha avuto l’autorizzazione di imbarcare solo 39 casi medici e “vulnerabili” tra cui un neonato, donne incinte, bambini e le loro famiglie. Tutti gli altri migranti sono stati riportati in Libia.
«Le attuali condizioni di salvataggio in mare, sempre più complicate e con dei trasferimenti di responsabilità confusi e pericolosi durante le operazioni, sono inaccettabili – ha denunciato fra l’altro Sophie Beau, vicepresidente di SOS MéditerranéeInternational -. Le navi di salvataggio si ritrovano costrette a negoziare caso per caso, in alto mare, in una situazione di urgenza e di tensione pericolosa, l’evacuazione di persone in difficoltà, malate, ferite, esauste, verso un luogo sicuro dove saranno curate e protette. Mentre i mezzi in mare per salvare vite sono sempre più insufficienti, le operazioni sono ritardate, delle vite umane sono minacciate, è data priorità al rinvio delle persone in difficoltà verso la Libia, anziché alla loro messa in sicurezza».
“Almeno ditecelo…”
Ancora Beau: «In assenza di un protocollo chiaro, pubblico e trasparente che regoli l’intervento della Guardia costiera libica in acque internazionali al largo della Libia, esortiamo vivamente le più alte autorità europee e internazionali a chiarire il quadro d’intervento dei diversi attori in questa zona marittima, la più mortale del mondo. Se questo quadro è cambiato di recente e presto potrebbe non consentirci più di salvare vite in pericolo, se non possiamo più esercitare la nostra missione in sicurezza, crediamo che noi e i cittadini europei dovremmo esserne informati per primi…».
Collegamenti
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