* a cura di Jacopo Baron – resoconto di Giulia Botti (ass. Non Solo Aiuto)
Di recente Vie di fuga ha proposto, tramite le testimonianze di Inno e Richie, due storie di “accoglienza mancata” che fanno riferimento alla cosiddetta “emergenza Nordafrica”, cioè l’aumento del flusso di richiedenti asilo e migranti seguito alle insurrezioni sviluppatesi nel Maghreb e in Siria nel 2011. Ad oggi, a fronte di una situazione che vede l’affermarsi di un nuovo – seppur prevedibile – aumento di questo tipo di flusso, il governo italiano si trova ancora una volta in crisi. Tuttavia è dovere di cronaca raccontare anche di quei casi dove, grazie al buon operato dei volontari e all’atteggiamento solidale mostrato dai Comuni e dai territori deputati all’accoglienza, le cose sembrano funzionare. Riportiamo la testimonianza che Giulia Botti, volontaria dell’associazione Non Solo Aiuto, ci ha inviato per informarci di quello che sta succedendo a Verbania, sulle rive del lago Maggiore.
Il 10 aprile di quest’anno sono giunti a Verbania 50 richiedenti asilo di età compresa tra i 15 e i 27 anni, provenienti da Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Gambia, Senegal, Burkina Faso e Guinea Bissau, seguiti da un gruppo di soli maliani arrivati il 28 maggio.
A occuparsi dei ragazzi rimasti sul territorio sono il CSSV (Consorzio dei Servizi sociali del Verbano), l’associazione Non Solo Aiuto – che fornisce mediazione linguistico-culturale – e una rete di volontari di varie associazioni verbanesi. I richiedenti asilo sono attualmente ospitati all’Istituto Maria Ausiliatrice di Antoliva. Il Consorzio ha stipulato una convenzione con l’Istituto Sacra Famiglia di Verbania che fornisce il servizio pasti, mentre della manutenzione e pulizia della struttura si occupano a turni gli stessi ospiti, affiancati da personale competente.
Gli ospiti sono stati identificati e hanno ricevuto dalla Questura di Verbania un documento provvisorio che gli permette di muoversi sul suolo italiano. Tutti loro, in quanto richiedenti asilo in Italia, sono in attesa del colloquio con la Commissione Territoriale di Torino, che avverrà a partire da ottobre. Seguono invece un iter diverso i tre profughi dichiaratisi minorenni, in attesa della nomina di un giudice tutelare.
Si tratta di persone che scappano dal totalitarismo e della dittatura, dalla guerra e dal fondamentalismo, alla ricerca di un luogo che possa accoglierle in un clima di libertà e di rispetto dei loro diritti. Mostrano curiosità e sono disponibili nel raccontare le tradizioni del proprio Paese e nell’assorbire elementi che appartengono alla nostra cultura.
Dal punto di vista formativo vi è un alto grado di differenziazione per quanto riguarda l’istruzione ricevuta nei Paesi d’origine: alcuni sono analfabeti e parlano solo la loro lingua tradizionale, altri hanno frequentato la scuola islamica (madrasa), altri ancora – pochi – vantano una formazione universitaria.
Così, anche le loro storie presentano diversi livelli di drammaticità. C’è chi si è trovato costretto ad abbandonare moglie e figli, chi non ha più familiari perché sono stati sterminati dalla guerra e dalla persecuzione politica, chi è fuggito per poter continuare gli studi e vivere secondo i principi di libertà trasmessi dalla sua famiglia.
La gestione della quotidianità è affidata a una rete di operatori volontari, impegnati a trasmettere una conoscenza basilare della lingua e del vivere italiani. A questo proposito i ragazzi sono stati divisi in cinque gruppi di lavoro, cercando di rispettare i diversi livelli di scolarizzazione. I corsi, resi obbligatori, sono due. Il corso di italiano, con lezioni tre volte a settimana, si pone l’obiettivo di rendere più facilmente comunicabili esigenze e pensieri mentre un secondo corso, chiamato “Europa” e composto di due lezioni a settimana, mira a far conoscere la cultura del nostro Paese e più in generale del mondo occidentale.
A ciò si aggiungono momenti sportivi, attività di giardinaggio, gite sul territorio e l’adesione ad eventi organizzati dalla comunità, che coinvolgono gli ospiti sia come spettatori che come attori, con un ruolo più attivo e gestionale. In questo modo i ragazzi possono farsi conoscere dai cittadini verbanesi – non esenti da paure e pregiudizi -, allargare la propria rete di conoscenze e sentirsi nuovamente parte di una società capace di accoglierli senza che essi debbano necessariamente negare le proprie radici.
Inoltre, il fatto di avere la maggior parte del tempo impegnato in attività formative permette sia di stemperare ansie e tensioni dettate dall’“immobilità”, sia di acquisire strumenti culturali utili anche di fronte a un ipotetico rimpatrio.
Di fronte a queste opportunità i ragazzi si sono sempre dimostrati attivi e impegnati, partecipando con costanza ai corsi e adempiendo le loro responsabilità.
Dopo i primi due mesi di “assestamento” gli operatori del CISS, il Consorzio intercomunale dei servizi sociali, si stanno ora muovendo per creare delle borse lavoro di volontariato sul territorio. Si tratta di un passo importante, alla cui base sta l’idea di coinvolgere i profughi nella gestione della città: nella pulizia delle spiagge, nella sistemazione dei parchi e dei sentieri.
Sono già stati avviati con successo due progetti di volontariato, uno alla Biblioteca civica di Verbania, rivolto all’organizzazione di eventi culturali che avranno luogo durante l’intero periodo estivo, e uno nella sede della cooperativa Mani Tese, dove vengono raccolti e venduti vestiti, mobili e libri usati.
In questo modo i richiedenti asilo possono sentirsi integrati nella comunità cittadina e imparare a svolgere un ruolo lavorativo differente: si tratta di un’importante occasione di conoscenza dell’ambiente lavorativo verbanese, soprattutto se, nella migliore delle ipotesi, queste persone acquisiranno il diritto a vivere nella nostra città.
Nonostante che per Verbania (piccola città di provincia in cui il tasso di immigrazione è minimo) fosse la prima esperienza di accoglienza, la cittadinanza ha risposto bene all’arrivo dei profughi, attivando fin da subito una forte rete di sostegno e mostrando un grande senso di solidarietà e generosità. Così come la comunità, anche i servizi sociali hanno mostrato efficienza e professionalità nell’organizzare fin da subito una vera e propria accoglienza, senza limitarsi a fornire ai richiedenti asilo cibo e vestiti, ma impegnandosi affinché si creassero reti di supporto in grado di fornire momenti di formazione e svago.
Le chiavi per una migliore ed efficace prima accoglienza sembrano dunque essere l’impegno in un processo di integrazione in cui il rifugiato abbia un ruolo attivo e una positiva disposizione da parte della comunità. C’è da sperare, a questo punto, che il sistema garantisca ai volontari di Verbania la possibilità di continuare l’ottimo lavoro fino a qui svolto.
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…Finalmente una notizia positiva e grande senso di responsabilità da parte di queste persone. Fateci sapere come procede per poter prendere esempio da queste esperienze…