“Non è né un centro, adeguato o meno, di prima accoglienza, né un centro per coloro che chiedono asilo, bensì uno dei luoghi di confinamento che calpestano la dignità umana e che caratterizzano l’attuale storia europea”. Alla costruzione, costata in tutto tre milioni di euro, e al mantenimento del campo ha contribuito e contribuisce anche l’Italia, con 500 mila. Ma strutture isolate, grigie, anonime e di fatto detentive come questa non sono certo “il meglio” di quel che si può offrire ai migranti in transito in Bosnia-Erzegovina. La rete RiVolti ai Balcani ha iniziato a dimostrarlo anche con i fatti.
«Il Temporary reception centre di Lipa non è né un centro, adeguato o meno, di prima accoglienza, né un centro per coloro che chiedono asilo, bensì uno dei luoghi di confinamento che calpestano la dignità umana e che caratterizzano l’attuale storia europea».
È dedicato al nuovo campo di Lipa in Bosnia, inaugurato nello scorso novembre dopo l’incendio della struttura andata a fuoco alla fine del 2020, un anno fa, il nuovo rapporto della campagna RiVolti ai Balcani.
Con il titolo Lipa, il campo dove fallisce l’Europa, il dossier vede al suo centro l’analisi “Perché la ‘strategia Lipa’ è un fallimento“. Questo contributo riconosce che la nuova struttura “per migranti” oggi risponde ad alcuni bisogni essenziali e materiali, ma ne denuncia in primo luogo l’intatto isolamento (a 800 metri di quota in mezzo a nulla, a 24 chilometri da Bihać, nel cantone di Una-Sana) e poi il fatto che relega anche minori (accompagnati e non accompagnati) e famiglie. Inoltre, nel nuovo campo colpiscono l’angustia e la povertà dei moduli abitativi (a fronte dello spazio mensa e della cucina, sicuramente più adeguati).
Da qui puoi solo “sparire”
Si legge ancora nel rapporto di RiVolti ai Balcani: «Il temporary reception centre Lipa, come altre strutture in Bosnia ed Erzegovina, ma con caratteristiche più evidenti, assume il ruolo di un luogo nel quale confinare le persone a cui viene negato l’esercizio dei diritti fondamentali garantendo loro un minimo livello di sussistenza per un tempo che rimane indefinito, in quanto nel campo di confinamento non vi può essere alcuna evoluzione della condizione giuridica e sociale della persona “accolta”; la situazione di ognuno di coloro che permangono nel campo è sospesa in un tempo che non scorre e può evolvere solo con la sparizione della persona che riesce a “passare” il confine (la vicina frontiera con la Croazia: v. box qui sotto, ndr) a prezzo di sofferenze indicibili o con la sua decisione di modificare la rotta».
Il centro di Lipa è gestito dal Servizio per gli affari esteri della Federazione di Bosnia-Erzegovina con il supporto di Oim, Unicef, Unfpa, Unhcr, Drc, World Vision e Croce Rossa ed è costato tre milioni di euro. Finanziatrice principale l’Unione europea (per oltre il 50%), seguita nell’ordine dai governi di Austria, Germania, Svizzera e anche dell’Italia (con 80 mila euro del ministero degli Esteri) e dalla Banca centrale europea. Agli 80 mila euro la nostra Farnesina ha aggiunto poco meno di 423 mila euro per i costi operativi di 16 mesi.
Con 1.500 posti totali, lo scorso 6 dicembre il campo ospitava 382 persone.
Pushback Croazia-Bosnia 2021: sulla frontiera della dignità perdutaIn soli cinque mesi di questo 2021, da luglio a novembre, le organizzazioni che fanno parte della rete PRAB (Protecting Rights at Borders) hanno raccolto testimonianze su 4.905 migranti coinvolti in respingimenti illegali (pushback) avvenuti dalla Croazia alla Bosnia. Il rapporto che contiene questo dato, dal titolo Human dignity lost at the EU’s borders, “La dignità umana perduta alle frontiere dell’UE”, è stato diffuso in queste settimane e può essere scaricato qui.
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Vecchie e nuove Lipa: ma davvero non ci sono alternative?Johann Sattler, rappresentante dell’UE in Bosnia ed Erzegovina, ha definito il nuovo campo di Lipa un «centro migranti all’avanguardia». Ma è possibile che strutture isolate, grigie, anonime e di fatto detentive come questa siano “il meglio” di quel che si può offrire ai migranti in viaggio nella Bosnia-Erzegovina? Ovviamente no. Lo dimostrano gli 11 progetti che la rete RiVolti ai Balcani, nata nell’ottobre 2019, ha iniziato a sostenere in questo 2021: da Tuzla a Sarajevo, da Bihać a Velika Kladuša, sono stati realizzati da decine di volontari e attivisti bosniaci o internazionali che «supportano dal basso i diritti e le necessità dei migranti in transito nel Paese». Undici progetti, per i quali sono bastati appena 55 mila euro (parte dei fondi raccolti dalla rete): molto meno degli 80 mila stanziati dalla sola Farnesina solo per la costruzione del “nuovo Lipa“. |
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