Sovraffollamento, prossimità forzata, scarso accesso a misure di prevenzione e sicurezza sono elementi che caratterizzano molti centri di accoglienza richiedenti asilo. Il rischio contagio coronavirus è altissimo e il Coordinamento migranti lancia un appello “bisogna agire ora, prima che sia troppo tardi”.
Per i migranti e i richiedenti asilo, che vivono nel nostro paese, l’emergenza coronavirus potrebbe essere difficile da affrontare. Da nord a sud la situazione è complessa e articolata.
Vi sono coloro che vivono negli insediamenti informali e che secondo le stime dell’ultimo rapporto di Medici senza frontiere, Fuori campo, sono almeno 10.000 (in prevalenza richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale o umanitaria). Vi sono poi i grandi centri di accoglienza ufficiali, favoriti dai decreti sicurezza, caratterizzati da sovraffollamento e promiscuità. E non bisogna dimenticare i Cpr dove la permanenza forzata di molte persone in un’unica struttura potrebbe rivelarsi molto pericolosa.
Al netto di questa situazione e dell’attuale emergenza coronavirus una serie di associazioni (tra cui Asgi, Avvocato di strada di Bologna, Caritas diocesana Bologna, Coordinamento Eritrea Democratica), si sono associate al Coordinamento migranti di Bologna per chiedere misure urgenti per garantire la tutela delle persone richiedenti asilo attualmente ospitate nell’ex Hub Mattei. “L’emergenza Coronavirus“, scrive il Coordinamento migranti, “consente deroghe alla normativa in materia di appalti, con affidamento diretto a soggetti in grado di garantire a tutti la complessiva salute pubblica“.
Ma non si tratta dell’unica iniziativa a riguardo: un team di ong e avvocati, su iniziativa della campagna Lasciatecientrare e Legal Team, ha inviato una lettera ai prefetti per chiedere il blocco di nuovi ingressi nei Cpr e la progressiva chiusura delle strutture. “Ci stiamo interrogando sulla situazione attuale, stiamo facendo una ricognizione sui centri di accoglienza ma anche sull’impatto che l’epidemia può avere sulle persone escluse dall’accoglienza – spiega Francesco Ferri di ActionAid -. Un rischio che vediamo concreto è nei luoghi ad alta concentrazione come i Cpr e gli hotspot, dove c’è molta promiscuità e una prossimità forzata”.
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