(Segue dalla news precedente). Fogli notizie. “Turchia Paese sicuro”: un modello che l’Europa può esportare? “Per resistere a tutto questo”…
Fogli notizie: “Lo cercherai pure un ‘lavoro’!”
Questo qui a fianco (cliccare per ingrandire) è un “foglio notizie”, cioè il primo modulo italiano che si adopera oggi per l’identificazione degli sbarcati dopo il soccorso in mare. Questo, in particolare, riguarda un cittadino gambiano e ad “Apriti Europa!” lo ha presentato l’avvocato Maurizio Veglio.
Sul modulo si chiede: «Venuto in italia per…». Risposte possibili nell’ordine: prima di tutto il «lavoro», seguito da «raggiungere i familiari», «fuggire dalla povertà», «fuggire per altri motivi». Poi c’è una riga nera continua. E, sotto, «richiedere asilo politico».
A compilare non è lo sbarcato, che si trova a scegliere rispondendo a domande verbali.
Osserva Veglio: «La domanda non è “Perché hai lasciato il tuo Paese?” o “Hai bisogno di presentare domanda d’asilo?”, ma: “Sei venuto in Italia per…?”. E quella riga nera vuole esprimere un’esclusività netta fra due ipotesi: se sei venuto per “lavorare” (ma chi mai non vorrebbe un lavoro?) o “per fuggire dalla povertà” (un concetto che dal punto di vista giuridico non esiste), nel nostro Paese non puoi essere “richiedente asilo”. Insomma, questo è un modulo che sembra fatto per “dimostrare” che lo sbarcato non è un richiedente asilo “autentico”, ma un migrante economico o un richiedente asilo di serie b».
Nel caso specifico, il cittadino gambiano si è trovato a dare le sue risposte, cioè a decidere del suo futuro, alle 20.30 del 16 settembre 2015, come si legge in testa al modulo. Cioè a sera inoltrata. Si sa che era sbarcato appena mezz’ora prima, alle 20.00, dopo 38 ore di odissea in mare. E afferma che su quel pezzo di carta la “sua” firma l’ha fatta qualcun altro.
“Turchia-Paese sicuro”, un modello da esportare?
Visti i primi risultati dell’accordo UE-Turchia di marzo (con lo sbarramento della rotta del Mediterraneo orientale), la Commissione UE ha proposto di estenderne il modello a Giordania, Libano, Niger, Nigeria, Senegal, Mali ed Etiopia. In sostanza, blocco dei flussi di rifugiati e migranti in cambio di “cooperazione”.
Ma nel frattempo la finzione della Turchia come una sorta di “Paese terzo sicuro” adatto a riaccogliere frettolosamente profughi e migranti (la Repubblica Turca si è trovata di colpo promossa a Paese affidabile per garanzie democratiche e diritti umani senza che, stranamente, fosse considerata tale in nessuno degli Stati membri dell’Unione che applicano “liste” di “Paesi sicuri” nell’esame dei richiedenti asilo) è stata smascherata, tra l’altro, dai monitoraggi di Amnesty International.
E intanto si affacciano le prime cause giudiziarie sulla legittimità stessa dell’accordo. A giugno, ad esempio, due pakistani e un afghano arrivati in Grecia e in procinto di essere rimandati in Turchia hanno fatto appello alla Corte di giustizia europea del Lussemburgo. Ed è di maggio la notizia che una commissione d’appello a Lesbo ha dato ragione a un siriano anche lui in lista per la deportazione in Turchia: il suo caso ha avuto diritto a un nuovo esame.
“Per resistere a tutto questo…”
«Il diritto ha già messo in moto i suoi anticorpi. Ma non è facile, per i ricorsi bisogna avere le firme di chi è in Grecia e di chi, magari, è già stato riportato in Turchia. In ogni caso probabilmente questo impegno “tecnico” non basterà. Per contrastare quello che avviene alle frontiere d’Europa potrà fare di più l’impegno di lobbying», di testimonianza e di denuncia.
Come quello portato avanti, ad esempio, dal progetto Meridiano d’Europa di Acmos, che con un gruppo di ragazzi a maggio di quest’anno ha raggiunto il confine “murato” ungherese con l’iniziativa Open Europe.
«Alcuni di noi ricorderanno la mobilitazione di società civile che abbiamo vissuto negli anni della guerra nella ex Jugoslavia – si è detto ancora all’incontro “L’Europa è ancora un rifugio per i rifugiati?”-: le persone si mossero, andarono a conoscere le persone e le realtà di quelle terre… Sono azioni che contano più dei dibattiti. Ecco, oggi i dibattiti si stanno aprendo, ma non ci si sta muovendo ancora abbastanza per andare a vedere certi centri, per fare pressione fuori dagli hotspot, per fare resistenza a tutti i muri che si stanno costruendo. Dobbiamo tutti muoverci di più, perché questo farà la differenza. Gli Stati prendono decisioni che violano delle norme e se vedono che lo possono fare, continueranno».
«Qui oggi non abbiamo neanche sollevato la questione dei minori stranieri non accompagnati che arrivano in Italia: ne perdiamo moltissimi, nel senso che non sappiamo più dove sono a poche settimane dal loro arrivo. Ma ci sono anche i non accompagnati rinchiusi nell’hotspot di Pozzallo: è grave se non riusciamo più a proteggere nemmeno i minori… Dobbiamo prendere posizione. In generale le violazioni sono molte e sono gravi, non occorre andare lontano, avvengono sul nostro territorio, nelle nostre questure…È ora che riusciamo a esserci di più, a guardare, a vedere di più e meglio».
Collegamenti
“Apriti Europa!”: il video di sintesi (giugno 2016, a cura di Acmos e Libera Piemonte)
“Apriti Europa!”: i podcast completi dei convegni (giugno 2016, a cura di Border Radio)
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