Il gratuito patrocinio è un beneficio previsto dalla Costituzione italiana (art. 24 Cost.) che consiste nel fornire assistenza legale gratuita, per promuovere un giudizio o per difendersi davanti a un giudice, a chi non è in grado di sostenere le spese legali. Il pagamento di tutte le spese quindi è a carico della Stato. Per quanto riguarda i richiedenti asilo che vogliono impugnare l’eventuale diniego della protezione internazionale e avvalersi del gratuito patrocinio la questione è piuttosto spinosa. E per varie ragioni.
A differenza di quanto previsto per la difesa dello straniero espulso (che è ammesso per legge al gratuito patrocinio, sia per l’impugnazione del decreto di espulsione, sia per le udienze di convalida del trattenimento e dell’esecuzione dell’espulsione), il richiedente asilo può avvalersi del patrocinio a spese dello Stato solo laddove presenti apposita domanda e risulti in possesso dei requisiti di reddito richiesti dalla legge.
Dal punto di vista pratico, il problema principale riguarda la difficoltà di reperire i documenti di identità, dal momento che la maggior parte dei richiedenti asilo ne è privo e nella fase di domanda di asilo il contatto con le autorità diplomatiche del paese di origine è sconsigliato. Ci si trova così di fronte a persone la cui identità non è certa, le quali autocertificano di non possedere alcun reddito nel paese di origine. Per l’autorità italiana è dunque molto difficile accertare l’effettiva sussistenza delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Di solito, il Consiglio dell’Ordine ammette i richiedenti asilo al gratuito patrocinio, con conseguente prenotazione a debito dei contributi unificati e delle imposte di bollo (che quindi non vengono pagati dal ricorrente). Sono però sempre più i casi in cui gli avvocati, al momento della richiesta di liquidazione del loro onorario, si trovino revocata l’ammissione al gratuito patrocinio, proprio a causa della mancanza di documentazione circa l’identità del richiedente. Ne scaturiscono due conseguenze. La conseguenza immediata della revoca è la necessità di pagare il contributo e l’imposta (se il richiedente non ha liquidità diventa un grave problema) mentre la conseguenza sul lungo periodo è quella per cui gli avvocati tendono a non accettare più cause contro i dinieghi temendo di non ricevere mai il corrispettivo per il loro lavoro. A tutto ciò si devono aggiungere comunque tempistiche di risarcimento che superano l’anno.
Se il patrocinio non è revocato, il compenso del difensore viene determinato in base alla tariffa forense vigente (che risale al 2004). Le norme che regolano la determinazione del compenso sono gli art. 82 e 130 del DPR n. 115/2002 (TU spese di giustizia) e prevedono che gli importi spettanti al difensore siano ridotti della metà e, in ogni caso, non superino i valori medi delle tariffe vigenti.
Si ringrazia per le informazioni trattate in questo articolo l’avvocato Daniela Di Rosa.
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