di Silvia Ponzio
I don’t speak very good, I dance better di Maged El Mahedy – Documentario – Egitto/Italia 2012 – 80’
Maged El Mahdi, già vincitore della settima edizione del Premio giornalistico internazionale “Gino Votano” per il miglior documentario 2009, si presenta alla 30a edizione del Torino Film Festival con un documentario degno della sua fama tanto da ricevere il Premio della Giuria di Italiana.Doc.
Girato tra Roma e Il Cairo, il documentario inizia nel febbraio 2010. È un anno particolare per Maged: è la prima volta dopo decine di anni che nevica a Roma da quando è arrivato in Italia; è l’anno in cui riesce ad assistere allo spettacolo teatrale e musicale del suo idolo, il ballerino Mahmoud Reda (a cui si deve il titolo); è l’anno in cui riceve la telefonata di sua sorella che lo implora di tornare in Egitto perché loro fratello è malato e necessita di un trapianto di fegato ed è proprio qui che la vicenda familiare del regista si intreccia con le vicende di Piazza Tahir e con la scoperta dell’epidemia di epatite C che sta mettendo in ginocchio l’Egitto.
Nel 2011, proprio mentre scoppia la rivoluzione, Maged si trova a Il Cairo, in un appartamento che si affaccia sulla piazza. Con una telecamera modesta inizia a registrare e a documentare tutto ciò vive e, senza cadere in uno stile documentario banale, lo spettatore è catapultato negli eventi. La telecamera di Maged si trasforma nei nostri occhi e iniziamo a osservare tutto ciò che ci circonda; altre volte diventa le nostre orecchie e ci troviamo immersi nel vivo della rivoluzione. In un momento i nostri occhi sono catturati dai cartelli con slogan e scritte come “We want a civil country”; nell’altro le nostre orecchie sentono le grida e le proteste contro il governo egiziano.
È un documentario fra il diario personale e il reportage di denuncia. Si passa da una scena ad un’altra, all’inizio un po’ spaesati o forse semplicemente incantati dalla danza di un derviscio che continua a ruotare su se stesso, ma man mano che i minuti passano capiamo dove il regista vuole arrivare. Ci troviamo immersi tra le persone, scopriamo non solo i sogni delle persone, ma anche le contraddizioni della rivoluzione, le conseguenze, gli effetti concreti sulle persone comuni. Oltre alle proteste, l’Egitto deve affrontare un’emergenza nascosta all’opinione comune: l’epatite C che sta dilagando e mietendo vittime fra il 25% della popolazione. Scopriamo, quindi, che Il Cairo non deve affrontare solo problemi politici, ma anche sanitari e ambientali. L’inquinamento atmosferico, delle acque del Nilo e l’uso di siringhe non sterilizzate hanno, infatti, causato il diffondersi inesorabile della malattia.
Alcune volte lo spettatore sprofonda nel caos della protesta, altre volte nel silenzio. L’unico suono che sentiamo è quello del nostro respiro. E questo forse è l’invito del regista: rimanere in silenzio per riflettere su cosa sta accadendo e unirsi all’onda di energia positiva di un popolo che vuole cambiare e che ha fatto finalmente sentire la sua voce.
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