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Il caso di Kate Omoregbe e i dinieghi dimenticati

La tratta delle nigeriane

La Nigeria è fra i principali paesi di origine dei richiedenti asilo politico. L’Italia è, in Europa, la prima meta dei nigeriani. Dal 2001 è puntualmente nella lista redatta dal Ministero degli Interni sui principali paesi di origine. La Nigeria è però detentore di un altro primato: è il primo paese per numero di dinieghi. Nel 2010 su un totale di 2.259 domande il numero di status riconosciuti è stato di 22, il numero di dinieghi 1.595. E non si tratta di un caso legato a uno specifico momento: nel 2009 i dinieghi sono stati 4.488 su un totale di 5.731 domande e così via a ritroso fino al 2001. 
La ragione di tale trattamento è che la maggior parte dei nigeriani sono vittima di tratta – sia sessuale che lavorativa – e vengono incanalati nel sistema dell’asilo politico dai loro stessi sfruttatori, sempre dei connazionali, per cercare di ottenere una qualsiasi forma di legalità a permanere sul territorio italiano. Questo fenomeno ha fatto perdere credibilità ai richiedenti asilo politico nigeriani e alle storie presentate alle Commissioni Territoriali che molto spesso sono costruite ad hoc su canovacci che si ripetono sempre uguali. Sono storie di conversioni forzate, legate ai riti woodoo, alle sette, ai matrimoni combinati, a dispute tribali.
La tratta di esseri umani incide su tutti: ragazze, ragazzi, donne e uomini. Tuttavia, in base alle ricerche realizzate nell’ambito di un progetto pilota di UNICRI, la maggior parte delle persone vittime della tratta a scopo di sfruttamento sessuale sono le giovani donne e i minori provenienti dallo Stato di Edo. Ciò non impedisce di estendere a macchia d’olio i dinieghi anche per chi proviene da altre zone del paese dove le condizioni di violenza generalizzata sono largamente documentate.

Kate Omoregbe è una donna nigeriana di 34 anni che ha rischiato l’espulsione dall’Italia e il rimpatrio nel suo paese d’origine. Dopo aver scontato una pena di quattro anni di reclusione a causa di una condanna per traffico di droga ora ha riacquistato la libertà e lo status di rifugiata politica in tempi record (una decina di giorni contro i dieci mesi). Kate ha chiesto asilo raccontando una vicenda di conversione forzata, di un matrimonio rifiutato e il rischio di una lapidazione. Motivi che in una situazione di normalità molto probabilmente non sarebbero stati sufficienti a garantirle un risultato positivo da parte di una Commissione Territoriale. La differenza per Kate è stata una popolarità acquisita grazie a un coinvolgimento mediatico voluto e sostenuto in prima linea da Franco Corbelli, responsabile nazionale  del movimento Diritti Civili. Per Kate si sono infatti attivati comitati, organizzazioni, leader e di conseguenza politici e ministri – che hanno rilasciato affermazioni assai impegnative : “oggi, ancora una volta – hanno detto i ministri Frattini e Carfagna – l’Italia ha dato prova di essere un Paese in prima linea nella lotta per il rispetto dei diritti fondamentali, tra questi, in particolare, la tutela della vita e il rispetto della donna”. 
Ancora una volta ci troviamo di fronte a un atteggiamento ambiguo dove l’asilo politico viene fatto passare come una concessione eccezionale (i tempi “record”, le affermazioni dei ministri, i titoli dei giornali) e non come un diritto tutelato. La povera Kate rischia così di diventare un caso virtuoso da riportare alla cronaca con sorrisi e strette di mano, per tenere bene nascosti tutti gli altri migliaia di casi: una vittoria, senza dubbio, per nascondere però i 1.595 che, forse, avrebbero dovuto avere un altro destino.

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