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Les eclats (ma gueule, ma révolte, mon nom)

Les éclats (Ma guele, ma révolte, mon nom) – di Sylvain George – Documentario – Francia 2011 – 84′

Al Torino Film Festival 2011 è stato presentato l’ultimo lavoro di Sylvain George – Les éclats. (Ma gueule, ma révolte, mon nom) – che è anche il documentario conclusivo del trittico composto da L’Impossible (2009) e Qu’ils reposent en révolte (2010).

Sylvain George ha lavorato su queste tre opere per dieci anni, cercando una forma cinematografica assolutamente personale in grado di (ri)dare dignità ai suoi protagonisti: i migranti, ossia individui spogliati dall’Europa di ogni diritto e ridotti a quello stato definito da Benjamin di «nuda vita».

Les éclats è ambientato a Calais, una città del nord della Francia balzata alle cronache nel 2002 quando Nicolas Sarkozy (allora Ministro degli Interni) aveva fatto chiudere un campo per stranieri gestito dalla Croce Rossa. Calais è la porta per entrare in Gran Bretagna, meta agognata da moltissimi migranti. È la città delle attese infinite, di una vita lasciata in sospeso per un futuro tenuto ancora più sospeso dall’illegalità, dalla possibile morte, dalla burocrazia europea. Il documentario di George racconta questa quotidianità, in frammenti: retate, cacce all’uomo, arresti, tribunali, attese, bagni e ancora retate e speranze che si affievoliscono fino a spegnersi.

Il regista tenta di rendere conto di questa realtà e di mostrare in maniera concreta – riuscendo a evitare una spettacolarizzazione – quali sono le conseguenze sulle persone (sulla carne, sulla vita e sulla morte) delle politiche migratorie in Europa. Sylvain George prende il Regolamento Dublino, che lega chi fa domanda di asilo a un solo Paese europeo, e racconta le sue conseguenze dirette che sono gesti quotidiani di automutilazione. Pur di mantenere la libertà i migranti si bruciano i polpastrelli, la propria carne che rischia di diventare causa di prigionia è eliminata a forza, con estrema violenza.

Il rifugiato è al centro del lavoro di Sylvain George e funziona come cartina di tornasole per costruirsi un’idea sulle democrazie europee. Lo schema narrativo prescelto è in rottura con la linearità inizio/mezzo/fine, non è legato a principi di causa-effetto ma compone un ritratto attraverso dei frammenti (les éclats) “che si scontrano e si intrecciano nel tempo e nello spazio”. Questo ha un senso da un punto di vista politico e non solo cinematografico perché supera un’abusata rappresentazione dei migranti che spinge su toni compassionevoli ma mai umani.

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