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Popolazione: 6.121.000
Capitale: Tripoli

Libia

La Libia a metà febbraio 2011 entra a far parte del numero dei paesi in rivolta nel mondo arabo. Anche la roccaforte del colonnello Muammar Gheddafi conosce la crisi che sta investendo il Nord Africa e già in pochi giorni la situazione è completamente fuori controllo. Iniziano violenti scontri fra i manifestanti antigovernativi e i sostenitori del rais; il regime risponde con la massima brutalità tentando di stroncare sul nascere la rivolta: il numero dei morti diventa subito allarmante. Tutte le città principali sono nel caos (a Tripoli la piazza Verde è occupata e i palazzi del potere dati alle fiamme) e l’intero paese si trova isolato.
Così mentre le voci diventano sempre più confuse e il numero delle vittime raggiunge le migliaia Gheddafi appare in televisione per esprimere la sua volontà di combattere “fino all’ultima goccia di sangue” ed eventualmente “di morire come martire”. La Libia sprofonda nel sangue: milizie da altri paesi africani sono assoldate per dare man forte al regime e al-Qaeda cerca di inserirsi nella rivolta in appoggio agli insorti. Il numero delle vittime non è più calcolabile. A fine febbraio diverse città si affrancano dal potere centrale (la Cirenaica si dichiara “zona liberata” dal governo e l’aeroporto di Tripoli è occupato) ma non smettono i bombardamenti a tappeto. Gheddafi e i suoi seguaci si rifugiano nel bunker di Bab al-Aziziya a Tripoli dove le proteste non si fermano e nemmeno le azioni di violenza generalizzata. In conseguenza a questa situazione il tribunale penale dell’Aja apre un’indagine preliminare sull’ipotesi di crimini di guerra condotti dalla leadership libica e le Nazioni Unite decidono di comminare sanzioni e restrizioni al rais, ad alcuni membri della sua famiglia e ai suoi più stretti collaboratori.

Gheddafi il 27 febbraio 2011 rilascia un’intervista a una televisione serba in cui critica aspramente le decisioni delle Nazioni Unite affermando che la rivolta è pilotata da al Qaeda mentre tutto il paese è dalla sua parte ma nello stesso giorno nasce un Consiglio nazionale di transizione (Cnt) con l’obiettivo di raccogliere in un fronte comune tutte le città controllate dagli insorti.
L’Unhcr lancia intanto l’allarme umanitario per il numero di profughi che si sta riversando sul confine tunisino.
Durante le prime due settimane di marzo non cessano mai gli attacchi contro i ribelli e alcune città vengono riconquistate dalle truppe del rais a scapito di centinaia di morti. Vengono anche lanciati ultimatum come nel caso della città di Bengasi, feudo degli insorti e sede del Cnt che non smette di intimare l’esilio a Gheddafi e alla sua famiglia.

Il 17 marzo 2011 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite approva la risoluzione 1973 che impone una no fly zone sui cieli libici e prevede “tutte le necessarie misure per proteggere la popolazione civile”, tranne un’invasione di terra. Mentre la popolazione civile, asserragliata a Bengasi, festeggia la risoluzione il regime reagisce denunciandola come una minaccia  all’integrità del paese e un invito alla guerra civile.

Guerra in Libia - 2011

Il 19 marzo iniziano gli interventi militari dell’operazione denominata dal Pentagono ‘Odissea all’alba’ che vedono uniti Francia (con il ruolo di leadership), Gran Bretagna, USA e altri paesi europei e non. Il 20 marzo anche i jet italiani entrano in azione ma più in generale il nostro paese offre una serie di basi militari.
La situazione non trova nessuna forma di stabilità; continuano per mesi sia gli interventi della coalizione a supporto degli insorti che gli attacchi delle truppe del rais in un rito quotidiano al massacro.

Agosto 2011 è un mese cardine per le forze anti-Gheddafi, arrivano verso la fine del mese a conquistare Tripoli e ad attaccare il bunker del rais che però risulta vuoto. Iniziano le prime esecuzione sommarie dei mercenari alleati al governo e intanto l’ONU decide di sbloccare i primi fondi per la ricostruzione del Paese. In realtà è solo a ottobre, con la conquista delle città lealiste di Sirte e Beni Ulid, che la Libia viene dichiarata sotto il totale controllo del CNT. Gheddafi viene ucciso il 20 ottobre 2011 a Sirte dove si era asserragliato dopo la presa di Tripoli. 

Il CNT ormai riconosciuto come unico rappresentante del popolo libico dalla comunità internazionale promette di portare il Paese alle urne per l’estate 2012 ma è accusato dal popolo libico di scarsa trasparenza e di legami con l’ex regime, per questo gruppi di manifestanti il 22 gennaio 2012 hanno attaccato gli uffici governativi a Bengasi diffondendo le proteste anche nel resto del Paese. Il CNT è composto in gran parte da ex ribelli, un fatto che insospettisce le altre fazioni a base regionale ma le critiche al governo riguardano gli scarsi successi anche nelle cose più banali. In alcune parti del Paese mancano i servizi di base mentre in città considerate vicine all’ex regime le macerie non vengono ancora rimosse. Fred Abrahams, consulente di Human Rights Watch ha dichiarato: «Liberarsi di Gheddafi è stato relativamente facile, mettere al suo posto un governo rappresentativo e trasparente sarà molto difficile».

Il CNT che detiene il potere esecutivo ha il compito di organizzare le elezioni dell’assemblea nazionale della Libia, un parlamento che avrebbe due compiti: redigere una costituzione, sulla quale fare un referendum, e formare un governo ad interim fino alle prime elezioni presidenziali. 

Alcuni dati
Al 23 marzo le persone fuggite dalla violenza in Libia erano 351.673. Di queste 178.263 si sono dirette in Tunisia (19.283 i tunisini e 21.877 i libici, tra loro), 147.293 in Egitto (tra cui 77.237 egiziani e 27.161 libici), 11.949 in Niger (11.091 i nigerini), 9.168 in Algeria (arrivati attraverso trasferimenti via terra, via mare e in aereo), 2.800 in Sudan e 2.200 in Ciad.
Per quanto riguarda il numero delle vittime del conflitto non ci sono né dati ufficiali né dati attendibili. Le informazioni sono frammentarie e le notizie che ne hanno ricavato i giornali parlano di numeri che vanno dai 1.000 fino ai 10.000 morti. Secondo la ong Human Rights Watch che fa riferimento ai medici che operavano negli ospedali delle città libiche teatro del conflitto i morti sarebbero stati centinaia e centinaia. 

Fonti:
www.ilsole24ore.com
www.tg24.sky.it
www.unhcr.org
www.nytimes.com

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