Tutti i 43 migranti internati devono ora essere liberati e portati in Italia. Il TAI: «Il modello Albania si rivela ancora una volta fallimentare», ma intanto «chi è stato portato in Albania ha subito una compressione radicale delle proprie tutele. A partire dal diritto d’asilo, snaturato, e dal diritto alla difesa, ridotto a un’ombra priva di efficacia».
La Corte d’appello di Roma ieri non ha convalidato il fermo di tutti i 43 migranti bengalesi ed egiziani appena internati nel centro di Gjader. Queste persone devono ora essere liberate e saranno riportate in Italia.
Ancora una volta, un tribunale italiano ha deciso sulla questione del centro di detenzione extraterritoriale italiano in Albania con un “rinvio pregiudiziale” alla Corte di giustizia europea in merito ai cosiddetti “Paesi sicuri“: secondo la normativa europea, chiede infatti la Corte d’appello della capitale nella sua sentenza, si può considerare “sicuro” un Paese «dove vi siano una o più categorie di persone per le quali non siano soddisfatte le condizioni sostanziali di tale designazione»?
La sentenza «è un colpo durissimo al piano del governo – hanno commentato gli organismi e le associazioni uniti nel TAI (Tavolo nazionale asilo e immigrazione) -. L’operazione si rivela, ancora una volta, fallimentare e insostenibile dal punto di vista giuridico: dopo tre tentativi, il modello Albania mostra tutte le sue contraddizioni e la sua incompatibilità con i diritti fondamentali. L’idea di esternalizzare le procedure d’asilo e di trattenere i migranti fuori dai confini italiani si infrange: la magistratura ha riconosciuto l’illegittimità del trattenimento e la violazione delle garanzie fondamentali».
Per il TAI, «ora il compito della società civile e della politica è chiaro: trasformare questa crisi in un punto di non ritorno, impedire nuovi trasferimenti e bloccare definitivamente un meccanismo che cancella i diritti delle persone in cerca di protezione. Chi è stato portato in Albania ha subito una compressione radicale delle proprie tutele. A partire dal diritto d’asilo, snaturato da procedure accelerate e svolte in condizioni di isolamento, e dal diritto alla difesa, ridotto a un’ombra priva di efficacia: le persone non hanno avuto il tempo né i mezzi per nominare un avvocato di fiducia e preparare la propria richiesta di protezione in modo adeguato. Questa vicenda dimostra che il diritto non può essere piegato a logiche politiche e propagandistiche».
Nei giorni scorsi, altri sei migranti di questo stesso gruppo intercettato da una nave italiana nel Canale di Sicilia (49 le persone in totale) erano già stati accompagnati in Italia perché vulnerabili o minorenni.
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