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Moria, dove finiscono in cenere anche gli ideali dell’Europa unita

L’incendio di questa notte a Moria ha distrutto anche l’idea di Europa come grande patria dell’accoglienza, della solidarietà, dei diritti. In Grecia quest’anno un quinto degli sbarchi rispetto all’anno scorso, ma più vittime sulla rotta del Mediterraneo orientale. Mentre sarebbero già 1.200-1.400 i respingimenti illegali attuati dal Paese ellenico.

Moria (Lesbo), 9 settembre 2020: quello che resta del grande campo (foto InfoMigrants).

 

L’incendio della scorsa notte che sull’isola di Lesbo ha devastato il “Centro di registrazione e identificazione” di Moria, in realtà un campo gigantesco e squallido che “ospitava” circa 12 mila richiedenti asilo, ha ridotto in cenere, definitivamente, anche l’idea di Europa come patria dell’accoglienza, della solidarietà, dei diritti.

Sono le istituzioni dell’Unione Europea e i suoi governi nazionali, infatti, che in Grecia hanno avallato, anzi costruito giorno per giorno, dopo l'”emergenza migranti” del 2015, una precaria e umiliante marca di confine per migranti e rifugiati indesiderati.

Sulle isole delle Egeo sono ancora confinati, in questi giorni, 27.200 rifugiati e richiedenti asilo, soprattutto afghani, siriani e, addirittura come terza provenienza, congolesi. All’inizio dell’anno erano oltre 41 mila. Ma il campo di Moria ieri notte conteneva un numero di persone pari a quattro volte la capienza massima per cui è stato costruito, 3.000 ospiti (tutti dati UNHCR).

Le cause dell’incendio sono ancora da chiarire. Il campo era in quarantena da giorni per alcuni casi di COVID-19, arrivati a 35. «Una quarantena sconsiderata e potenzialmente molto pericolosa – aveva commentato Medici senza frontiere -. I doveri del governo imporrebbero un rafforzamento della risposta della sanità pubblica per migranti e richiedenti asilo e non il loro confinamento in condizioni infernali per fingere di proteggere l’isola dalla diffusione del virus». Ma ora, dopo l’incendio, l’Europa si ritrova in casa, sulle Isole, una nuova, vera e propria emergenza umanitaria

Intanto, in Grecia quest’anno fino ad oggi sono sbarcati meno di 9.000 fra rifugiati e migranti: un quinto rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Ma sulla “rotta” del Mediterraneo orientale sono già 71 le persone che hanno perso la vita, 13 in più dell’anno scorso.

A inizio mese il ministro greco per la Navigazione Giannis Plakiotakis, con delega alla Guardia costiera, ha ammesso che dall’inizio dell’anno la Grecia ha impedito l’ingresso via mare nel Paese a oltre 10 mila migranti.

Mentre in questi stessi giorni, con quello che l’ECRE ha definito ormai un «accumularsi di prove», varie ONG hanno denunciato 1.200-1.400 casi di respingimenti illegali. «La gran parte di queste persone sarebbe stata costretta a rischiare la vita su zattere di salvataggio sospinte dalla Guardia costiera verso la Turchia».

 

  

 

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Osservatorio Isole è uno spazio di testimonianza in prima persona e di analisi sullo stato di malattia del diritto alla protezione internazionale in Europa, e prende le mosse dall’ultima offensiva militare del regime siriano nella provincia di Idlib e dalla conseguente decisione del presidente turco Erdogan di aprire ai profughi i propri confini verso l’Unione europea, alla fine di febbraio 2020.

Gli articoli e le notizie principali sono a cura di Pietro Derossi (pietro_derossi91@outlook.com), laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino e abilitato alla professione forense. Derossi vive in Grecia dal giugno 2019, dove ha lavorato con diverse ONG impegnate sul campo nell’assistenza legale dei richiedenti asilo nonché per l’Ufficio Europeo di Sostegno per l’Asilo (EASO). Ha visitato i campi profughi di Samo, Chio e Lesbo, e attualmente risiede a Lesbo. Intende rivolgersi «soprattutto a chi, pur non lavorando nel settore, è cittadino accorto e impegnato a informarsi: costui contribuisce a mantenere intatto il sogno della democrazia».

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