Alle Olimpiadi di Tokyo la ciclista Masomah Ali Zada, rifugiata in Francia, è arrivata venticinquesima su 25 atlete nella cronometro femminile su strada. Ma ha commentato: «Non ha importanza come mi sono piazzata, quello che conta è che ho dato una speranza alle donne che nel mondo si sentono dire che non dovrebbero andare in bicicletta». Masomah è stata costretta a lasciare l’Afghanistan nel 2016 per la sua passione sportiva.
Ieri a Oyama, vicino a Tokyo, al suo debutto olimpico Masomah Ali Zada è arrivata venticinquesima su 25 atlete nella cronometro femminile individuale di ciclismo su strada. Ma ha commentato: «Sono così felice di rappresentare la squadra dei rifugiati. Non ha importanza come mi sono piazzata, quello che conta è che ho dato una speranza alle donne che nel mondo si sentono dire che non dovrebbero andare in bicicletta».
Masomah, che partecipa a Tokyo 2020 nel Refugee Olympic Team, è stata costretta a fuggire da un Afghanistan che, dopo decenni di guerre e di instabilità irrisolte, sta franando a poco a poco in una nuova escalation di insicurezza e violenze. Appartiene alla minoranza hazara, da bambina è vissuta in esilio in Iran. Tornata a Kabul con la famiglia, ha potuto frequentare le superiori e l’università studiando scienze motorie e sportive.
Ha iniziato ad andare in bicicletta con altre giovani donne e, nonostante la disapprovazione dei fondamentalisti, il suo gruppo ha acquisito notorietà. Masomah è riuscita entrare nella nazionale di ciclismo, ma alla fine l'”attenzione” su di lei da parte di un certo settore della società afghana si è fatta troppo forte. Nel 2016 ha deciso così di lasciare il Paese con la famiglia e di chiedere asilo in Francia. Oggi, oltre ad allenarsi su due ruote, studia all’Università di Lille dove vive con la sorella Zahra.
Il canale TV Arte ha dedicato a lei e alle sue compagne il documentario Les Petites Reines de Kaboul.
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