Come si è arrivati in Grecia all’attuale scempio della dignità di persone che fuggono dalla guerra e, nello stesso tempo, a tanta insofferenza da parte della popolazione delle Isole? Uno dei fattori principali è il regolamento di Dublino, che è diventato un vero e proprio “secondo livello” di esternalizzazione dell’obbligo di garantire protezione internazionale: non si dispiega in paesi esterni all’UE, come nel caso della Turchia, ma verso paesi di confine interni alla stessa Unione.
di Pietro Derossi, da Lesbo
(segue dalla corrispondenza del 28 marzo)
Come si è arrivati in Grecia a un tale scempio della dignità di persone che fuggono dalla guerra e, al contempo, a tanta insofferenza da parte della popolazione delle Isole?
Sicuramente a ciò ha contribuito fortemente la persistente conservazione delle norme europee contenute nel cosiddetto Regolamento di Dublino, in virtù delle quali lo Stato membro dell’Unione per primo raggiunto irregolarmente dal migrante richiedente asilo è, salvo eccezioni, quello su cui incombe l’onere di esaminare la domanda di protezione internazionale[1], garantire accoglienza e assistenza materiale[2] e dare alla persona riconosciuta meritevole di protezione un permesso di soggiorno e il diritto di lavorare che non valgono in altri paesi dell’Unione e che pertanto legano la persona allo Stato di primo ingresso[3].
Questo produce la paradossale situazione in cui alla Grecia, uno stato dal PIL e dalla demografia modesta rispetto alla media Europea, è richiesto di far fronte quasi individualmente alle crisi umanitarie e ai flussi di profughi provenienti da Siria, Yemen, Afghanistan, Somalia, Iraq e Sudan, per citare i maggiori paesi. Si tratta di paesi teatro di conflitti armati interni o internazionali da cui provengono milioni di civili che – nonostante tutti i muri, i periodi di detenzione e i respingimenti che devono superare per arrivare in Turchia e poi in Grecia – perseguono il più naturale degli istinti: la sopravvivenza.
Questo meccanismo rappresenta un secondo livello di esternalizzazione della responsabilità del rispetto del diritto alla protezione internazionale verso paesi non esterni all’Unione europea, ma ai suoi confini. Ciò non poteva che portare a una situazione esplosiva, in cui la società civile delle isole è esausta e chiede legittimamente una diversa gestione dei fenomeni migratori.
Il malcontento è catalizzato dalla nuova ondata dei civili in fuga da Idlib, in Siria, a seguito dell’offensiva di Assad contro ciò che rimane delle forze ribelli, e dalla decisione della Turchia di aprire le proprie frontiere. La pozione descritta genera il caos, che viene prontamente cavalcato dai fanatici coltivatori di odio verso il diverso, immediatamente disponibili a sostituirsi alle autorità democratiche laddove queste si mostrano incapaci di mantenere l’ordine.
Complice è il Governo greco che – invece di puntare il dito contro i palazzi di quella che dovrebbe essere un’Unione europea, lamentando una gestione assurda e iniqua del fenomeno migratorio – tenta di rabbonire il suo popolo promettendo muri più alti, muri nel mare, campi profughi “chiusi” entro i quali i richiedenti asilo verrebbero detenuti, e la “difesa dei confini” tramite respingimenti collettivi e la “sospensione” del diritto alla protezione internazionale.
In spregio al diritto internazionale
L’idea di creare campi chiusi, annunciata dal Governo greco, è aberrante. Significa detenere i richiedenti asilo in luoghi occludenti e inaccessibili dall’esterno, senza pertanto possibilità di integrazione nella società in cui sono approdati.
Significa isolarli dalle ONG e dalle persone che offrono assistenza morale e materiale nei campi; che fungono da primo ponte tra la cultura e il costume straniero e la cultura europea; e che osservano e denunciano all’opinione pubblica le possibili violazioni di diritti e di dignità commesse nei confronti dei profughi.
Significa relegarli in spazi ermetici, dove tutto può accadere senza che il sonno della coscienza pubblica possa essere disturbato. Peraltro, la detenzione dei richiedenti asilo in quanto tali costituirebbe una chiara violazione dell’art. 26 della direttiva europea in materia di procedura di asilo[4].
Né la Convenzione di Ginevra sullo Status dei Rifugiati né il diritto dell’Unione Europea ammettono che il diritto alla protezione internazionale possa sospendersi, anche solo momentaneamente. Non c’è traccia di una norma che preveda questa possibilità, anche a cercarla con il lanternino tra le pieghe di ogni carta giuridica[5].
I respingimenti collettivi o individuali alla frontiera, sia essa terrestre o marina, sono illegali ove avvengano impedendo alle persone di esercitare il diritto all’asilo facendone domanda alle autorità competenti dello Stato raggiunto. Invero, in forza dell’art. 14 del Codice frontiere Schengen, l’obbligo dello Stato membro di negare l’ingresso irregolare nel proprio territorio non deve pregiudicare l’applicazione del diritto alla protezione internazionale[6]. Inoltre, l’art. 4 del Protocollo n. 4 alla Convenzione europea dei diritti umani vieta le espulsioni e i respingimenti collettivi degli stranieri[7].
Parimenti, la deportazione del migrante che intenda chiedere asilo politico dal territorio di uno Stato dell’Unione Europea al paese di origine o in altro paese dove l’integrità fisica della persona è a rischio costituisce una lesione del principio di “non refoulement” insito nell’art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo stato di rifugiato del 1951[8] e nell’ art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, proibitivo di trattamenti disumani e degradanti[9].
Secondo le norme vigenti, una persona che intende richiedere asilo può essere ricondotta nel proprio paese di origine o intimata a lasciare il territorio di uno Stato solo dopo un esame del suo caso e l’adozione di una decisione che motivi le ragioni per cui la persona non abbisogna di protezione internazionale[10].
Sono banalità, sono l’ABC di ogni manuale di diritto in materia.
L’Unione della vergogna
Il portavoce delle Commissione Europea Eric Mamer, alla domanda se sia legale usare violenza contro i profughi che tentano di entrare in Grecia nell’ambito dell’attuale crisi umanitaria, ha risposto: «Dipende»[11]. Sicuramente una buona risposta cautelativa da parte dello studente che non abbia ripassato la lezione di diritto, peccato che lo abbia invece affermato un rappresentante dei massimi organi dell’Unione Europea.
Singolare anche la dichiarazione della presidente della Commissione Europea von der Leyen, che dinanzi a plateali violazioni del diritto internazionale si è recata sul posto e ha ringraziato la Grecia «per essere il nostro scudo»[12]: ci si protegge da chi cerca protezione. Forse abbiamo toccato il fondo.
[1] Regolamento N. 604/2013 del Parlamento Europeo e del Consiglio. Per rigore giuridico, deve osservarsi che il Regolamento, ai fini dell’attribuzione di competenza a prendere in carico la domanda di asilo, stabilisce il criterio del paese di primo ingresso come quarto nella gerarchia dei criteri. Tuttavia, di fatto, esso rimane il criterio di gran lunga più applicato e applicabile. In proposito, si vedano gli articoli 8-15 del Regolamento.
[2] Direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale.
[3] Direttiva 2011/95 UE recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, artt. 20-26.
[4] Direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, art. 26.
[5] UNHCR, Dichiarazione UNHCR in merito alla situazione al confine Turchia-UE, 02.03.2020, https://www.unhcr.it/news/dichiarazione-unhcr-in-merito-alla-situazione-al-confine-turchia-ue.html
[6] Per approfondimenti si veda: Asylum Information Database, Access to protection in Europe: Borders and entry into the territory, pp. 7-9, 30.06.2018, http://www.asylumineurope.org/sites/default/files/shadow-reports/aida_accessi_territory.pdf
[7] La Corte Europea dei Diritti Umani ha chiarito che la norma citata, sebbene usi il termine “espulsioni”, esprime non solo il divieto di deportazione collettiva dal territorio dello Stato, ma anche il respingimento avvenuto prima che i migranti abbiano raggiunto tale territorio. In proposito, si veda il caso Hirsi Jamaa and Others v. Italy, Application No 27765/09, Judgment of 23 February 2012.
[8] UNHCR, Advisory Opinion on the Extraterritorial Application of Non-Refoulement Obligations under the 1951 Convention relating to the Status of Refugees and its 1967 Protocol, 26.01.2007, https://www.unhcr.org/4d9486929.pdf
[9] Per approfondimenti si veda la seguente giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani: N.D. and N.T. v. Spain, Application Nos 8675/15 and 8697/15, Judgment of 3 October 2017; Sharifi v. Italy and Greece, Application No 16643/09, Judgment of 21 October 2014; Hirsi Jamaa v. Italy, Application No 27765/09, Judgment of 23 February 2012; Conka v. Belgium, Application No 51564/99, Judgment of 5 February 2002.
[10] Direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale, Art. 11.
[11] Open, Si può usare la violenza contro migranti al confine? Per l’Ue «dipende dalle circostanze» , 07.03.2020, https://www.open.online/2020/03/07/si-puo-usare-la-violenza-contro-migranti-al-confine-per-ue-dipende-dalle-circostanze/
[12] Il Fatto Quotidiano, Migranti, i presidenti di Parlamento, Consiglio e Commissione Ue al confine Grecia-Turchia: “Grazie Atene, i tuoi confini sono i nostri”, 03.03.2020, https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/03/03/migranti-i-presidenti-di-parlamento-consiglio-e-commissione-ue-al-confine-grecia-turchia-grazie-atene-i-tuoi-confini-sono-i-nostri/5723860/
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