La Corte di Giustizia Europea ha giudicato inadempienti Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca nell’attuazione del programma UE di ricollocamento di richiedenti asilo arrivati in Grecia e in Italia fra 2015 e 2017. Ma il programma europeo ha avuto scarsi risultati anche per altri fattori. Si è tradotto in 34.700 richiedenti effettivamente ricollocati, l’80-90% di quelli aventi diritto e registrati. Però le persone potenzialmente “eleggibili” (migranti arrivati da Siria, Eritrea e Irak) erano 480 mila.
I ricorsi della Commissione Europea? Irricevibili perché, dopo la scadenza del programma di relocation, nel settembre 2017, non si poteva più rimediare alle inadempienze: sono arrivate ad accampare anche questo pretesto Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca contro la Commissione di Bruxelles, che nello stesso ’17 le aveva deferite alla Corte di Giustizia Europea perché inadempienti sulle due “decisioni” del Consiglio Europeo, nel 2015, per il “ricollocamento” di 160 mila richiedenti asilo in difficoltà da Grecia e Italia.
Ma con una sentenza di questi giorni (v. nell’allegato a questa news), la Corte ha stabilito che i tre Paesi membri dell’UE sono venuti meno ai loro obblighi di ricollocamento (relocation) in base al diritto dell’Unione: non hanno indicato con regolarità un numero adeguato di richiedenti protezione internazionale da “ricollocare” nel loro territorio né, di conseguenza, hanno ottemperato ai loro obblighi di ricollocazione effettiva.
Il pur importante giudizio della Corte di Giustizia, tuttavia, difficilmente potrà tradursi in qualche forma di concreta riparazione.
Caso relocation, i dati e i fattiNel 2015 dell'”emergenza migranti”, con l’arrivo di numerosi profughi in Grecia e in Italia, il Consiglio Europeo ha adottato due “decisioni” per la relocation negli altri Paesi membri di 40 mila e 120 mila richiedenti. In applicazione di queste decisioni, nel dicembre 2015 la Polonia ha dichiarato di essere in grado di ricollocare rapidamente nel suo territorio 100 persone. Ma non l’ha fatto, né poi si è assunta ulteriori impegni. L’Ungheria non ha mai indicato nemmeno un numero di persone. Quanto alla Repubblica Ceca, nel 2016 si è limitata a indicare un numero di 50 persone, per poi ricollocarne solo 12. Il Report 2019 sul diritto d’asilo della Fondazione Migrantes ha potuto finalmente fare il punto sui risultati del programma europeo di relocation 2015-2017, i cui trasferimenti si sono protratti anche nel periodo successivo. Il totale dei richiedenti ricollocati da Grecia e Italia ha raggiunto le 34.700 persone, 22 mila dalla Grecia e 12.700 dall’Italia. In sostanza, i risultati minimi di una buona intenzione. Agli scarsi risultati hanno contribuito le inadempienze pressoché totali dei tre Paesi condannati tre giorni fa, ma anche quelle parziali da parte di altri Paesi membri: vedi i dati pubblicati dal Report 2019, pp. 71 e 72-73, che, tra l’altro, vanno messi a confronto con un “impegno legale” totale dei Paesi membri sceso ormai a meno di 98.300 persone da ricollocare. Il Regno Unito e la Danimarca si sono chiamati fuori dal programma facendo valere i loro particolari diritti di opt-out nelle scelte dell’Unione. Ma sugli scarsi risultati hanno avuto il loro peso anche i requisiti troppo restrittivi per i richiedenti asilo: l’evidente necessità di protezione e una nazionalità il cui tasso di riconoscimento di protezione nell’Unione fosse pari o superiore al 75% (quindi soprattutto Siria, Eritrea e, almeno all’inizio, l’Irak). Anche con questi criteri di selezione, un rapporto UE di fine 2019 ha accertato che hanno potuto usufruire della relocation solo l’80-90% dei richiedenti aventi diritto registrati in Grecia e in Italia. Ma i migranti che potenzialmente ne avevano diritto erano addirittura 480 mila, se si guarda agli arrivi di siriani, eritrei ed iracheni nei due Paesi fra il settembre 2015 e il settembre 2017 (vedi nel grafico sopra); quest’ultimo dato, fra l’altro, tiene conto del fatto che i richiedenti iracheni sono stati “eleggibili” al diritto di relocation solo fino al giugno 2016. |
Allegato
Sentenza del 2 aprile 2020, la comunicazione della Corte di Giustizia Europea (file .pdf)
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