Le violazioni dei diritti sulla rotta balcanica avvengono nel quadro di una preoccupante impunità e nell’ambito dei negoziati di adesione all’UE (non certo alla pari) con i Paesi che non ne fanno ancora parte. Ma anche con precise responsabilità dell’Unione quando si tratta di operazioni alle frontiere finanziate con fondi comunitari.
Alla sessione di ieri della conferenza “Sulla rotta balcanica” hanno portato la loro denuncia e la loro testimonianza anche sei operatori e attivisti nei Paesi dell’Europa sudorientale: Urša Regvar, portavoce del Pravno-informacijski center nevladnih organizacij (Centro legale di informazione per le organizzazioni umanitarie) di Lubiana, Maddalena Avon del Centar za mirovne studije (Centro per la Pace) di Zagabria, Silvia Maraone, project manager dell’IPSIA delle ACLI (da Bihać in Bosnia-Erzegovina), Radoš Djurović, portavoce del Centar za zaštitu i pomoć tražiocima azila (Asylum Protection Center) di Belgrado, Jasmin Redjepi dell’ONG Legis di Skopje e Nidžara Ahmetašević, giornalista e attivista per i diritti umani di Sarajevo.
Pushback balcanici, responsabilità dell’Unione
«Le associazioni sul campo hanno descritto molto bene la situazione. Siamo di fronte a politiche di esternalizzazione del controllo dei flussi – ha riassunto Massimo Moratti, vicedirettore dell’ufficio per l’Europa e responsabile per i Balcani di Amnesty International – . Con la Libia e la Turchia la si attua tramite accordi formali, nei Balcani nell’ambito dei processi di adesione all’UE dei Paesi che non ne fanno ancora parte. La Croazia, la Slovenia e l’Ungheria si trovano alle frontiere esterne all’Unione. Dall’altra parte c’è la Turchia che contiene tre milioni e 600 mila persone. E in mezzo ci sono i “Paesi sandwich“, in posizione subordinata (perché non è un negoziato tra pari), lasciati a gestire i flussi di persone lungo più “rotte”, flussi che negli anni sono cambiati per le violenze delle polizie: ungherese, croata e quest’anno greca sull’Evros… È come se si stessero “passando gli appunti”, quel che facevano gli uni ora lo fanno gli altri».
Se l’Ombudsman si muove
Fra i tanti, anche Amnesty ha denunciato queste prassi, obbligata per la loro gravità a concentrarsi sulla Croazia: pushback che si traducono in diritti negati, furti di oggetti, percosse, trattamenti disumani e degradanti e anche tortura.
«Ma è stato sempre peggio, nonostante le denunce – riconosce Moratti -. Gli episodi di ottobre hanno visto un innalzamento del grado di violenza. Le denunce sono state riprese anche da testate importanti, però non accadeva nulla». Fino a quando Amnesty si è rivolta all’Ombudsman dell’Unione, cioé l’ufficio del “Mediatore” chiamato a rispondere sulle denunce di cattiva amministrazione degli organismi dell’UE: perché l’UE non ferma le violenze? Perché non funzionano misure di monitoraggio? Perché la Croazia riceve fondi europei nonostante queste violenze ai suoi confini?
All’inizio di questo novembre, finalmente, l’Ombudsman Europeo ha comunicato l’apertura di un’inchiesta sulle possibili responsabilità della Commissione Europea per il mancato rispetto dei diritti di migranti e rifugiati, da parte delle autorità di Zagabria, in operazioni di frontiera finanziate dall’Unione ai confini con la Bosnia e la Serbia.
La lettera ufficiale del Mediatore Europeo chiede anche conto di mancate verifiche circa uno specifico “meccanismo di monitoraggio” sul rispetto dei diritti umani ai confini concordato con le autorità croate. Per quest’ultimo sarebbero stati stanziati 300 mila euro, ma non sarebbe mai stato realizzato. La Commissione di Bruxelles ha tre mesi per rispondere, che scadranno all’inizio del febbraio 2021.
Ancora Moratti: «L’impunità ai confini, ecco il nocciolo della questione. Il controllo sulle forze dell’ordine sembra fermarsi a ridosso dei confini. Ma questi confini sembrano una terra di nessuno, dove può accadere di tutto. E fa paura che esistano nell’UE zone dove non c’è controllo democratico».
Le ONG: “Bene il nuovo meccanismo di monitoraggio proposto dall’UE sulle violazioni ai confini, ma a quattro condizioni”Il Patto europeo sulla migrazione e sull’asilo lanciato dalla Commissione UE a settembre propone fra l’altro l’istituzione di un meccanismo di monitoraggio per indagare sulle violazioni dei diritti umani fondamentali alle frontiere. A novembre otto organizzazioni internazionali fra cui Amnesty International, l’ECRE e Human Rights Watch hanno affermato in un sintetico documento congiunto che il meccanismo proposto avrà possibilità di successo «solo se ne sarà ampliato il raggio d’azione e assicurata l’indipendenza, solo se sarà rafforzata la responsabilità per le violazioni e se avrà conseguenze concrete (cioè tagli nei fondi, ndr) nel caso che i governi non vi pongano rimedio». |
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