Sono sempre più numerosi i migranti sbarcati sulle nostre coste che evitano (o cercano di evitare) di farsi rilevare le impronte digitali per non essere costretti a presentare domanda d’asilo in Italia. Ma c’è anche chi la domanda d’asilo non può a presentarla neanche se vuole. Il bilancio di un’estate: i casi di Catania e Lampedusa, gli egiziani rispediti in patria nel giro di due giorni. E gli ultimi dati dell’Unhcr sugli sbarchi: i migranti e potenziali richiedenti asilo sbarcati da gennaio in Sud Italia sono quasi il triplo rispetto al 2012.
«Sembra in crescita il numero di persone (soprattutto cittadini eritrei, somali, afghani e siriani) che evitano di lasciare le loro impronte in Italia e cercano di raggiungere altri Paesi europei per presentare là la loro domanda d’asilo, a quanto pare a motivo delle carenze del sistema d’accoglienza e delle prospettive di integrazione nella Penisola». Lo si legge, ormai, anche in un rapporto dell’Unchr rivolto alle autorità italiane, dal titolo Unhcr recommendations on important aspects of refugee protection in Italy. Il documento porta la data luglio 2013, è stato diffuso in Rete solo nei giorni scorsi ed è sottoscritto dalla Rappresentanza regionale dell’Unhcr per l’Europa meridionale.
Catania, Lampedusa: “Impronte, no grazie”
Comunque sia, c’è anche questo, nel bilancio tutto compreso della calda “estate sbarchi” 2013: le proteste dei migranti sbarcati che chiedono di non essere identificati in territorio italiano, per non dover presentare domanda d’asilo nel nostro Paese secondo le norme del regolamento “Dublino II” (presto “Dublino III”). Due gli episodi simbolo.
Catania, 14 agosto. Dopo quattro giorni di protesta, i componenti di un gruppo di famiglie siriane (11 adulti e 10 bambini) arrivati il 10 agosto nello “sbarco” in cui hanno perso la vita sei giovani egiziani e tenuti sotto controllo nell’ex scuola Andrea Doria, vengono prelevati, portati nei locali della polizia scientifica e costretti a farsi identificare. In nome del «diritto di scelta», chiedevano di raggiungere parenti e amici in Germania, Svezia, Norvegia. Ma per il momento si devono accontentare del Cara di Mineo.
Lampedusa, 20 luglio. Circa 200 migranti usciti dal Centro di primo soccorso e accoglienza di Lampedusa (che in quel giorno, con 350 posti, “ospita” 950 persone) manifestano nelle strade dell’isola. Anche loro, quasi tutti eritrei, chiedono di non essere identificati per poter presentare domanda di protezione soprattutto in Norvegia, Svezia e Inghilterra. Interrompono la protesta il 21, dopo una mediazione con le autorità, sentendosi rassicurati sulle loro richieste: gli è stato promesso che verranno trasferiti in piccoli gruppi verso altre località italiane, senza dover lasciare le impronte digitali.
“Tu domanda non la fai”
Eppure c’è anche chi, quest’estate, la domanda d’asilo non ha potuto proprio farla, né in Italia né altrove.
Il 19 agosto, ancora a Catania, sbarcano dieci egiziani. Il 21, due giorni dopo, vengono rimandati in Egitto su un volo della Egyptair. Secondo il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) sembra che nessuno abbia verificato se potevano chiedere protezione internazionale. Maria de Donato, responsabile dell’Ufficio legale del Cir, il 22 dichiara: «Dalle modalità in cui è avvenuto il rimpatrio potrebbe trattarsi di un respingimento illegittimo. Abbiamo chiesto più volte di poterli incontrare, ma il permesso ci è sempre stato negato».
A eccezione di Save the Children per i minori, non hanno potuto incontrare gli egiziani nemmeno gli enti di tutela della rete “Praesidium” (oltre a Save the Children Italia, l’Unhcr, l’Oim e la Croce Rossa).
«Probabilmente» è stato un respingimento illegittimo perché eseguito a priori sulla base della nazionalità, senza valutare caso per caso. «I siriani sono stati giustamente accolti – ha sottolineato ancora De Donato –, e invece agli egiziani è stato riservato un trattamento diverso». Se fra Italia ed Egitto esiste un accordo di riammissione, «ora la situazione nel Paese è cambiata e la gente sta fuggendo da una situazione esplosiva. Ogni caso va valutato singolarmente, non solo in base alla nazionalità».
Un episodio isolato? Purtroppo no: «Dal 2010 l’Unhcr e i partner di “Prasidium” esprimono ripetutamente preoccupazione perché centinaia di migranti egiziani e tunisini, fatta eccezione per quelli che arrivano a Lampedusa, vengono rimpatriati senza aver potuto incontrare gli operatori della stessa “Praesidium” per ricevere le informazioni di base fornite ai nuovi arrivati via mare» (Unhcr recommendations on important aspects of refugee protection in Italy).
1.000 migranti in 24 ore
Dall’inizio del 2013 alla prima settimana di settembre sono sbarcati in Sud Italia circa 22.000 migranti e potenziali richiedenti asilo (fonte Unhcr): quasi il triplo rispetto al dato totale registrato nel 2012, 7.891. I nuovi arrivati sono soprattutto eritrei (circa 5.800 quest’anno, contro i 594 del 2012), somali (circa 2.600 contro 1.280) e, ogni giorno di più, siriani: 4.000 persone, soprattutto famiglie con bambini, contro le 369 dell’anno scorso; ma l’Unhcr stima che i siriani arrivati via mare nei porti di tutta Italia nel corso di questo 2013 siano già 4.600, due terzi dei quali nel solo mese di agosto.
Fra il pomeriggio del 16 settembre e la giornata di ieri sono stati 944 i migranti soccorsi nel giro di 24 ore dalla Guardia Costiera italiana nell’ambito dell’attività Sar (“Search and Rescue”). I soccorsi sono avvenuti tutti a grande distanza dalle coste della Penisola – fino a 180 miglia, ha informato l’agenzia Redattore sociale – e spesso con l’ausilio di navi mercantili stranieri che hanno prestato la prima assistenza.
Sempre secondo una stima Unhcr contenuta ancora nell’ultimo rapporto di recommendations all’Italia, in questi anni presentano domanda d’asilo l’85% dei migranti sbarcati sulle nostre coste.
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