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Tolo tolo – regia di Checco Zalone (Luca Medici) – con Souleymane Sylla e Manda Touré – Commedia – 90′ – soggetto e sceneggiatura di Checco Zalone e Paolo Virzì – distr. Medusa – Italia 2020

Come c’era da aspettarsi, dal debutto alla regia di Zalone non esce esattamente una “riflessione” sulle migrazioni forzate… Perché al centro dello sberleffo ci siamo noi, italiani “medi”, fatui e superficiali, ignoranti di ciò che supera il perimetro dei nostri interessi del momento ed ora e sempre esposti ad “atavici” attacchi di fascismo de razzismo. Anche, se alla fine, di questo road movie ambizioso e strampalato si fanno ricordare soprattutto due momenti di toccante umanità.

È arrivato nelle sale a capodanno e lo ha tolto dalla programmazione solo la serrata da coronavirus di inizio marzo. Alzi la mano chi ormai non sa la storia: Checco di Spinazzola, Puglia, imprenditore fallito e indebitato fino al collo, scappa in Africa a fare il cameriere in un resort, ma neanche laggiù trova pace, perché il Paese, un simil-Kenya, è devastato dagli attacchi di un’ipertrofica milizia islamista.

Dopo un raid sul villaggio turistico Checco rimane in braghe di tela, e dunque non gli resta che riprendere la via dell’Europa per la rotta del deserto, di Libia e del Canale di Sicilia. La meta sognata non è l’Italia ma il Liechtenstein, «dove c’è il segreto bancario, così non mi trova nessuno». Suoi compagni di viaggio, il giovane Oumar (Souleymane Sylla), che ha conosciuto al resort ed è fan dell’Italia e del suo cinema, e la bella e volitiva Idjaba (Manda Touré) con il piccolo Doudou (Nassor Said Birya).

Manco a dirlo, è il via a una serie di tappe e peripezie più o meno “classiche”: l’hub migratorio di Agadez, le piste del Sahara su un camion che rigurgita pacchi e persone, l’incontro con un fotoreporter francese e vanesio, i centri di detenzione libici con annesso raid aereo del generale Haftar, la traversata in mare con naufragio, il salvataggio con l’ONG “Mar de Amor”, per finire con lo sbarco a Lampedusa fra le proteste “sovraniste” (a far da colonna sonora a quest’ultima scena, le note di Viva l’Italia di De Gregori).

Si ride (abbastanza spesso) per gag e trovate. Ma anche per questo, ecco, da Tolo Tolo, debutto alla regia di Zalone e alla cui sceneggiatura ha collaborato anche Paolo Virzì, non esce esattamente una riflessione sulla tematica scottante, come si suol dire, delle migrazioni forzate.

“Grazie Haftar”

Sotto il devastante raid terra-aria degli islamisti nel simil-Kenya, il vero problema di Checco non sono i caccia F16, ma l’F24, il modulo per il fisco italiano: «Questa è la tragedia, qui non conoscono la guerra vera».

Davanti al resort in rovina Oumar esclama, distrutto: «Qui ho lasciato le mie speranze», e Zalone, altrettanto distrutto: «Qui ho lasciato il mio caricabatterie».

Ad Agadez il cinefilo Oumar osserva che «qui hanno fatto il Tè nel deserto». Checco: «Lo fanno al limone?». «Bertolucci…». «A me in realtà vanno bene tutte le marche».

E nel centro di detenzione tripolino, proprio mentre Idjaba sta per baciare il bellimbusto Alexandre, si scatena l’inferno di un nuovo attacco aereo; ma Checco, geloso, alza gli occhi al cielo: «Grazie, Haftar!».

E via così. Il mirino zaloniano inquadra un po’ tutti, ma proprio tutti, benché con ironia e sarcasmo a intensità variabile. Migranti un po’ griffati e taroccati che cantano e viaggiano allegri, o con quei nomi “strani”, tipo Doudou. I militari dei contingenti internazionali. I familiari italiani di Checco che tifano per il suo seppellimento definitivo in Africa, per lucrare almeno un risarcimento, considerati i debiti e il dissesto che ha lasciato a casa. E poi la stampa fatua e engagée, per finire con politici e politicanti italiani e non, e l’Europa che calcola le quote dei migranti in relocation non a persone, ma a chili…

Noi e il viaggio di Idjaba

Ma in realtà, al centro dello sberleffo ci siamo noi, italiani “medi”, ancora più fatui e superficiali della stampa engagée, ignoranti di ciò che supera il perimetro dei nostri interessi del momento. Ed ora e sempre esposti a quei periodici “attacchi” di fascismo e razzismo da cui Checco sembra posseduto di tanto in tanto, con pose e gesti mussoliniani stranianti e surreali. Perché «il fascismo ce l’abbiamo dentro tutti, viene fuori con il caldo… È un po’ come la candida…».   

Anche se, alla fine, questo road movie ambizioso e strampalato fatto anche di inserti musical, incisi onirici, nonché di scene di animazione nell’ancor più strampalato finale, noi lo ricorderemo soprattutto per due momenti di toccante, vera e autentica umanità. Momento numero 1, la rivelazione sul motivo del lungo viaggio “migrante” di Idjaba, ormai in riva al Mediterraneo. E momento numero 2, l’incontro a Trieste di Doudou con suo padre, emigrato da tempo in Italia.  

Postilla poco utile sul singolo Immigrato, che Zalone ha diffuso a dicembre «per il lancio» di Tolo Tolo. Come ha potuto verificare chiunque abbia visto il film, con Tolo Tolo non c’entra nulla. Ma proprio nulla. Fa il verso a Toto Cutugno e concentra la sua ironia su una sola delle categorie messe nel mirino di cui sopra. Un’ironia che, visto il clima che si respira qui in Italia  da un paio d’anni, rischia di non essere capita da tutti, facendo di questa canzone-videoclip un tormentone per “sovranisti” e “identitari” a corto di ispirazione.

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“Alcune volte è una fuga, altre una scelta, sempre contiene una speranza e una promessa. La strada di chi lascia la sua terra”. Una graphic novel che racconta alle nuove generazioni le storie, le persone e le ragioni delle migrazioni.

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by Mauro Biani – Repubblica
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