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Tutti i muri del mondo – Israele ed Egitto

* di Jacopo Baron

Mappa del confine israelo-egiziano

In Israele, nel gennaio dello scorso anno, si sono svolte le elezioni parlamentari. Ne è uscita vincitrice, seppur di poco, la coalizione Likud-Beitenu, che ha dunque confermato il già primo ministro Benjamin Netanyahu alla guida del governo di Tel Aviv. Per assicurarsi il suo terzo mandato Netanyahu ha puntato, nel corso della campagna elettorale, sulle paure del paese, nel tentativo di consolidare quella sindrome di accerchiamento già utilizzata, come efficace strumento di consenso, nel corso dei suoi governi precedenti.

La condizione di assedio permanente su cui Netanyahu da anni insiste è del resto estremamente funzionale, quando non essenziale, alla giustificazione dell’operato del suo governo. È infatti solo grazie a questa condizione che Netanyahu ha potuto ignorare impunemente le risoluzioni della comunità internazionale (ONU ES-10/13, 14, 15) rimanendo ben voluto non solo in patria ma, paradossalmente, anche in molti di quegli stati che della comunità internazionale fanno a loro volta parte, come l’Italia. Lo stato di assedio dietro a cui Israele ha dunque deciso di trincerarsi è passato, sotto Netanyahu, dall’essere uno strumento di coesione sociale a vera e propria arma politica, provocando un diffuso consenso – o quantomeno un generale assenso – attorno a progetti e operazioni discutibili.

Il muro Israele-Egitto o meglio l’Hourglass project

Uno dei risultati più recenti di questo processo si è avuto con la messa in cantiere della barriera Israele-Egitto, una recinzione alta in media 15 metri e lunga 245 km che si estende per tutta la lunghezza del confine comune ai due paesi, da Rafah a Eliat. La prima e principale sezione di questo nuovo muro israeliano è stata inaugurata dallo stesso Netanyahu il 3 gennaio 2013, con una cerimonia dal chiaro taglio propagandistico – giustificato ovviamente dall’imminenza delle elezioni. La costruzione della barriera fa parte delle misure di sicurezza previste dall’Hourglass project (piano Clessidra), un progetto stilato dall’IDF nel 2005 per garantire a Israele un maggiore controllo dei traffici illeciti gravitanti attorno al confine meridionale, controllo divenuto per molti fondamentale a seguito degli scontri verificatisi in quello stesso periodo tra egiziani e rifugiati provenienti dal Darfur, con questi ultimi che più spesso decidevano di lasciare l’Egitto per Israele. Inizialmente Netanyahu aveva negato l’appoggio al progetto per questioni di budget ma messo poi alle strette dal voto dei suoi ha cominciato a cavalcare l’iniziativa, sottolineando la necessità di “preservare la natura ebraica e democratica dello Stato d’Israele.” A detta del primo ministro, ormai lanciato, non si poteva più “permettere a decine di migliaia di persone di infiltrarsi in Israele attraverso il confine meridionale, inondando così il paese di clandestini.”

Il complicarsi della situazione egiziana, con i tumulti del 2011 e la caduta di Mubarak, ha poi portato ad un implemento dei sistemi di sicurezza previsti dal progetto iniziale: nella sua parte principale, quella inaugurata da Netanyahu lo scorso anno, la recinzione prevede una barriera alta 5 metri sormontata da filo spinato, torri di controllo altre 30 metri, telecamere di sicurezza e allarmi.

Migrante sudanese che lavora per Israele costruendo il muro anti-immigrazione - Foto Baz Ratner/Reuters (2012)

Anche se l’annuncio della conclusione definitiva dei lavori è stata data da Tel Aviv solo nella prima settimana dello scorso dicembre, gli effetti della barriera, attiva fin dall’inaugurazione di Netanyahu, sono già evidenti. Secondo le stime governative rilasciate nel luglio 2013 solo 34 persone sono riuscite a entrare illegalmente in Israele a 6 mesi dalla messa in funzione della recinzione, un dato veramente impressionante se si pensa che nel 2012, nello stesso arco di tempo (gennaio-luglio), la cifra si aggirava attorno alle 10.000 unità.

Il Progetto Clessidra è quindi divenuto, grazie ai suoi impressionanti risultati, un modello per tutte le nazioni impegnate nella costruzione di simili strutture di contenimento, con paesi come India e gli USA tra gli ammiratori più entusiasti.

 

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