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Ferrhotel

A Bari, come in molte altre città d’Italia, un gruppo di rifugiati somali ha occupato una stabile abbandonato per riuscire ricavarsi uno spazio di dignità, uno spazio dove tentare di ricominciare a vivere una vita in Italia. L’edificio barese occupato è un ex albergo delle Ferrovie Italiano: il Ferrhotel che, in un viavai di persone che arrivano, partono e ritornano, torna a vivere una nuova dimensione di vita.

Il documentario racconta alcune vicende dei rifugiati somali insediatisi nel Ferrhotel ed è stato realizzato da Mariangela Barbanente (Mola di Bari, 1968) in collaborazione con Sergio Gravili e presentato nella sezione Italiana.doc del Torino Film Festival 29. Il desiderio degli autori era quello di raccontare «cosa succede nella vita di un rifugiato dopo l’emergenza. Dopo gli sbarchi, i centri di accoglienza, la conquista di un permesso di soggiorno. Quella zona grigia che precede un’integrazione possibile (e spesso disattesa)».

Il documentario entra intimamente nella vita dei protagonisti che non vengono mai intervistati ma ripresi mentre semplicemente si lasciano vivere, discorrono, si confrontano e si adeguano a una terra che spesso gli rimane ostile (tutto avviene all’interno del Ferrhotel, in una clausura che sembra rappresentare l’isolamento dei somali in Italia). Le loro preoccupazioni assomigliano più che mai alle nostre stesse, legate come sono allo spettro di nuove povertà e alla precarietà: la crisi, la difficoltà di trovare un lavoro, la paura di avere la famiglia lontana, la mancanza di un tetto.

Ferrhotel è un viaggio fra uomini e donne ‘invisibili’, di cui la nostra società vede solo il versante emergenza essendo ancora troppo poco pronta all’accoglienza. In realtà il documentario si chiude con un’immagine che induce a credere alla reale possibilità di un’integrazione: un somalo tenta di imparare l’italiano cantando il testo della canzone nazionalpopolare di Toto Cotugno “Sono un italiano”.

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

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