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Frontiere orientali: “Se questa è Europa…”

Neanche le frontiere sbarrate e le barriere di filo spinato erette da Bulgaria e Ungheria sono state capaci di dissuadere rifugiati e migranti dal continuare a cercare protezione passando per le frontiere orientali dell’UE. Cinque ONG di Ungheria, Bulgaria, Repubblica Ceca, Polonia e Slovenia denunciano una “nuova normalità” di ingressi negati e respingimenti illegittimi.

Foto ECRE.

“L’Europa è sempre stata un forte baluardo dei diritti umani… Oggi nello sforzo di mantenere il controllo delle sue frontiere è messa alla prova nell’osservanza di questi stessi diritti. Ma erodendo poco alla volta quelli di richiedenti asilo e migranti, sta costruendo una nuova, allarmante ‘normalità’… I Paesi europei devono offrire canali sicuri e regolari alla mobilità umana: è l’unico modo perché possano riottenere il pieno controllo dei propri confini”. 

(François Crépeau, relatore speciale dell’ONU sui diritti umani dei migranti, 18 febbraio 2016)

 

Neanche le frontiere sbarrate e i “muri” di Bulgaria e Ungheria sono stati capaci di dissuadere rifugiati e migranti dal continuare a cercare protezione al di qua dei confini orientali dell’UE. Lo ha dimostrato, dati alla mano, una joint venture di cinque ONG di altrettanti Paesi dell’Est europeo, tutte aderenti all’ECRE, nella ricerca Pushed Back at the Door (respinti sulla soglia) sull’«accesso negato all’asilo nei Paesi orientali dell’UE».

In Bulgaria, nonostante  i 230 chilometri di barriera con filo spinato al confine con la Turchia già realizzati o in cantiere, la maggior parte dei “migranti irregolari” sono ancora intercettati all’interno del Paese: degli oltre 18 mila intercettati fra gennaio e il 10 dicembre 2016, quelli sorpresi all’ingresso del Paese sono meno di un quinto (il 18%). Tutti gli altri sono stati fermati al suo interno (48%) o ai confini “in uscita” (34%). «L’accesso al Paese dei richiedenti asilo rimane difficile».

L’Ungheria di Viktor Orbán dallo scorso luglio si è sentita in dovere di aggiungere ai suoi “muri” l’obbligo, per la polizia, di deportare fuori delle barriere lungo il confine con Serbia e Croazia tutti i migranti sorpresi entro otto chilometri dal limes: una “legalizzazione” dei respingimenti in violazione degli obblighi di Budapest nei confronti della normativa internazionale ed europea. I respinti sono così bloccati «per settimane in condizioni disumane prima di ottenere accesso alle zone di transito». Fra il 5 luglio e il 31 dicembre 2016 sono oltre 19.200 mila i potenziali richiedenti asilo cui è stato impedito l’accesso in Ungheria al confine con la Serbia, o subito alla frontiera o dopo averceli “riaccompagnate”.

Sia in Ungheria che in Bulgaria la situazione è aggravata dai «diffusi resoconti sulle violenze che in entrambi i Paesi accompagnano queste misure di polizia».

Violazioni del principio di non-refoulement si sono verificate anche all’aeroporto di Praga nella Repubblica Ceca, dove gli agenti di frontiera si rifiutano di registrare un certo numero di richieste d’asilo.

“Ceceni? Non si passa”

Ma situazioni simili si registrano anche ai posti di frontiera orientale della Polonia, dove sempre più spesso si impedisce di presentare domanda di protezione e di fare ingresso nel Paese, soprattutto a profughi ceceni. Nei primi nove mesi del 2016 gli ingressi rifiutati al confine con la Bielorussia sono quadruplicati rispetto allo stesso periodo del 2015 (72.500 contro 17.400).

In Slovenia (dove fra ottobre 2015  e marzo 2016 sono passati mezzo milione di rifugiati e migranti), non si sono registrati respingimenti violenti, ma sporadici casi di rifiuto d’ingresso e d’accesso alla procedura d’asilo. È dal 2016 però che si cerca di limitare a livello legislativo il diritto d’accesso e di protezione nel Paese.

“Chiedetelo a loro…”

Ha tirato le somme una delle curatrici del rapporto Pushed Back at the Door, rappresentante dell Hungarian Helsinki Committee (HCC) ed esperta di advocacy: «Mentre i maggiori controlli di confine e le barriere fisiche si sono rivelati inefficaci nel distogliere i rifugiati dal cercare protezione, desta forte preoccupazione la pratica diffusa dei respingimenti violenti in Bulgaria e Ungheria. Il risultato immediato di queste politiche potrebbe essere meglio descritto da coloro che le subiscono: tanto per fare un esempio, quel rifugiato afgano minorenne che ha subito le violenze della polizia ungherese e che, intervistato dall’HCC, ha detto: “Questa non è Europa”…».

Lo è purtroppo. Anche se Bruxelles e Strasburgo (e Vienna, e Roma, e Berlino, e Parigi e Londra) guardano dall’altra parte.

(segue nella prossima news)

Allegato

Pushed back on the Door (gennaio 2017, file .pdf 686 kbyte)

 

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