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Accoglienza dei richiedenti asilo: a Trieste fa capo al Comune

Anche a Trieste, ai margini della “rotta dei Balcani”, non è “emergenza”. «Dall’inizio di gennaio tra gli aventi diritto all’accoglienza dei richiedenti asilo non c’è stato nessuno rimasto a dormire in strada per mancanza di posti letto – riferisce l’ICS -. Il numero di arrivi, che da dicembre si è attestato in media su 6-7 persone a settimana, non giustifica in alcun modo che si parli di “invasione” al solo fine di fare propaganda elettorale». Ma intanto, un incontro pubblico a Torino ha fatto emergere un altro “ingrediente” interessante del sistema di accoglienza triestino: nel capoluogo giuliano la responsabilità dell’intero sistema di accoglienza (e quindi anche dell’accoglienza “extra SPRAR”) fa capo a un unico ente: il Comune.

Trieste: in un appartamento gestito da ICS (foto Emeroteca F. Tomizza).
Trieste: in un appartamento gestito da ICS (foto Emeroteca F. Tomizza).

 

«Quello delle recenti migrazioni è un cambiamento epocale, destinato a non esaurirsi in tempi brevi, verso il quale le logiche emergenziali, così come la costruzione di muri e l’abbandono di Schengen, non possono fare nulla. Un fenomeno da affrontare con serietà, adeguando ai nuovi scenari il sistema d’asilo nell’UE… Lo stesso dicasi per la situazione dell’accoglienza dei richiedenti asilo a Trieste, che non è in stato di “emergenza”. Dall’inizio di gennaio tra gli aventi diritto all’accoglienza non c’è stato nessuno rimasto a dormire in strada per mancanza di posti letto. Il numero di arrivi, che da dicembre si è attestato in media sul numero di 6-7 persone a settimana, non giustifica in alcun modo che si parli di “invasione” al solo fine di fare propaganda elettorale. Se si organizzassero trasferimenti regolari verso altre città, com’è stato più volte auspicato dall’ICS, il numero di richiedenti asilo sul territorio calerebbe ulteriormente, attestandosi sulle presenze stabilite dalle direttive nazionali. Al di là delle retoriche xenofobe, si può constatare come il modello dell’accoglienza diffusa contribuisca in maniera strutturale all’integrazione dei richiedenti asilo, combattendo i fenomeni di ghettizzazione sociale favoriti invece dai grandi centri d’accoglienza, i CARA…».

Confine_Italia_Slovenia_Arrivi Via TerraFine gennaio 2016. A Trieste l’ICS (Consorzio Italiano di Solidarietà-Ufficio Rifugiati Onlus) fa il punto sulla cosiddetta “emergenza migranti”. La città è sede della “buona pratica” di accoglienza che Vie di fuga ha già presentato nei mesi scorsi: 650 posti extra-SPRAR più 120 SPRAR in un unico sistema di accoglienza con gli stessi standard; “accoglienza diffusa” in decine di appartamenti; il ricorso provvisorio, solo nel caso di flussi ingenti, a centri collettivi fino a 50 posti nell’area urbana o a strutture alberghiere; un’attenzione particolare ai richiedenti asilo via terra (dettata dalla vicinanza con il confine sloveno, ai margini della “rotta balcanica”), che nel resto d’Italia rimangono figli di un dio minore in un sistema di accoglienza nazionale ancora, questo sì, “emergenziale”.

Solo una bizzarria locale?

Ma l’esperienza di Trieste ha un altro ingrediente interessante: fin dal 2013 nel capoluogo giuliano la responsabilità dell’intero sistema di accoglienza (e quindi anche dell’accoglienza “extra SPRAR”) è del Comune. In una parola, l’extra SPRAR non fa capo alle Prefetture come nel resto d’Italia.

Una bizzarria locale? No, come è emerso all’ultimo incontro pubblico organizzato a Torino dal coordinamento Non solo asilo e dall’Università subalpina. «Tanti disastri dovuti alle strutture emergenziali avrebbero potuto essere evitati, già da tempo, con un’assunzione di responsabilità da parte degli enti locali», ha spiegato Gianfranco Schiavone, presidente dell’ICS e membro del direttivo ASGI.

Infatti su tutto il territorio nazionale «l’ente locale poteva e può essere titolare anche del progetto di accoglienza “emergenziale” così come è titolare dei progetti SPRAR (nell’esigua minoranza di Comuni dove questi sono attivi, ndr). Questa misura era chiaramente indicata in una circolare del Dipartimento libertà civili e immigrazione del dicembre 2014, dove si dava indicazione ai Prefetti di verificare prima di tutto la disponibilità dei Comuni ad essere titolari dei servizi di accoglienza straordinari. Molti Comuni hanno declinato, e così sono partiti i servizi “paralleli”. In realtà l’ente locale che intende gestire l’accoglienza straordinaria ha la priorità su qualsiasi altro soggetto».

Sempre che, naturalmente, il Comune e i suoi cittadini (aiutati dai loro amministratori) abbiano compreso che l’accoglienza dei richiedenti asilo, necessità ormai più strutturale e che emergenziale, che lo si voglia o no, «deve diventare sempre di più parte integrante del governo del territorio».

“MALE-PRATICHE”: Alessandria, quando la Prefettura ti dice che gli afghani arrivati via terra non puoi accoglierli perché non sono arrivati per il “corridoio normale”…

All’incontro pubblico “Diritto d’asilo, 2015 anno della svolta?” organizzato dal coordinamento Non solo asilo e dall’Università di Torino (26 novembre 2015), un’operatrice di Alessandria ha riferito un episodio significativo accaduto solo qualche giorno prima: «Noi abbiamo ospitato gratuitamente per un giorno con l’aiuto della Croce Rossa quattro giovani afghani arrivati autonomamente sul territorio. Ma la Prefettura ha detto che non è il “corridoio normale” e non abbiamo potuto tenerli, nonostante avessimo il posto. Se non arrivano dal centro accoglienza di Settimo Torinese (“hub” regionale, ndr) non possiamo “prenderli”. Così abbiamo dovuto mandarli via, ma ci è sembrata una cosa assolutamente senza senso». Ha commentato Gianfranco Schiavone: «Quei giovani potevano, dovevano restare. Al massimo la Prefettura poteva inviarli prima al centro di Settimo, ma non potevano “sparire nel nulla”. Che ne è stato della loro domanda di accoglienza e assistenza? Si sarebbe dovuto fargliela fare… Un funzionario pubblico non può decidere chi ha diritto all’accoglienza e chi no, è lì anche per far rispettare la normativa. La persona fa domanda di protezione alla Questura e chiede accoglienza alla Prefettura. E questa accoglienza deve essere data. Per la legge il richiedente asilo non è quello che arriva via mare, ma quello che fa domanda in Questura. E nessun funzionario pubblico può negargli il diritto all’accoglienza, subito».  (g.g.)

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IL DIRITTO D’ASILO - REPORT 2020

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