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Accordo UE-Turchia e Bruxelles: “Non possiamo arrenderci alla paura”

La sofferenza e la violenza nel cuore dell’Europa, la sofferenza e la violenza alle sue frontiere, e oltre: le ha avvicinate la fondazione Migrantes provando a ragionare sulla cronaca di ieri e sull’accordo UE-Turchia del 18 marzo, in forza del quale gli hotspot sulle isole greche sono diventati centri di detenzione. Negli approfondimenti, le posizioni sull’accordo dell’UNHCR, di Amnesty International, del Centro Astalli e del CIR.

Lesbo: un padre rifugiato celebra con il figlio lo sbarco sull'isola greca (foto T. Stoddart per la mostra "Refugee", Los Angeles, Annenberg Space for Photography, 23 aprile-21 agosto 2016).
Lesbo: un padre rifugiato celebra con il figlio lo sbarco sull’isola greca (foto T. Stoddart per la mostra “Refugee“, Los Angeles, Annenberg Space for Photography, 23 aprile-21 agosto 2016).

 

«La nuova strage di Bruxelles non può diventare una ragione in più per innescare un doppio percorso di sofferenza per i migranti: costretti a lasciare i loro Paesi, fermati e rifiutati ai confini dell’Europa». La sofferenza e la violenza nel cuore dell’Europa con gli attentati nella capitale belga, la sofferenza e la violenza alle sue frontiere, e oltre: le ha avvicinate la fondazione Migrantes provando a ragionare sulla cronaca di ieri e sull’accordo UE-Turchia del 18 marzo.

«Il dolore e la rabbia per gli attentati – ha affermato il direttore della Migrantes mons. Giancarlo Perego – non possono fermare la tutela e la protezione internazionale di chi è in fuga dalla guerra e dalla persecuzione. La sicurezza oggi non è a rischio per l’arrivo di persone che hanno visto le loro case e la loro vita distrutte da bombardamenti e da violenze, ma per un terrorismo irrazionale nato e cresciuto anche dentro le nostre città europee».

Libia, Nigeria, Mali: anche là il terrorismo in casa

Llogo_Migrantes_2015Argomenta la fondazione Migrantes in un comunicato: «Troviamo inquietante che chi sta arrivando in Grecia da lunedì 21 marzo venga considerato “irregolare”. E se per 71 mila siriani sembra rimanere la possibilità di entrare regolarmente dalla Turchia in cambio di altre persone arrivate “irregolarmente” in Grecia, ci chiediamo: che fine faranno gli iracheni, gli afgani, i pakistani e le persone in fuga dal Bangladesh, quelle che fuggono da Etiopia, Eritrea, Somalia e da altri Paesi africani, dove, a loro volta, alcuni gruppi di estremisti stanno mettendo a dura prova la popolazione, quali la Libia, la Tunisia, la Nigeria, il Mali?».

Nel 2015 hanno chiesto asilo nei confini dell’Unione europea più di 1.200.000 persone, ma questo è avvenuto su una popolazione di oltre 500 milioni di abitanti. «È vergognoso che il continente più ricco al mondo, quale è l’Europa, di fronte alla crisi di rifugiati più grave dopo la Seconda Guerra Mondiale, non riesca a fare di meglio che chiudere i propri confini», protesta Migrantes.

In ogni caso, «le domande d’asilo complessive non possono rimanere tutte a carico solo dei primi Paesi di approdo (Italia, Grecia, e Malta) o di chi non ha chiuso le proprie frontiere (Germania, Svezia e pochi altri). La decisione di chiudere le proprie frontiere – l’Ungheria è stata la prima, seguita a ruota da Austria, Slovenia e Croazia – non può essere una pratica accettata in Europa, quella stessa Unione Europea che proclama che la solidarietà è alla base dei propri principi costituivi e fondativi».

“La sicurezza non nasce dietro un muro”

Rifugiati siriani al posto di frontiera di Alcakale, Turchia (foto Amnesty International 2015).
Rifugiati siriani al posto di frontiera di Alcakale, Turchia (foto Amnesty International 2015).

Quali che saranno le scelte, comunque, non saranno muri o frontiere fortificate a fermare i flussi migratori dei nostri anni. Cambieranno le rotte (su «vie piene di ostacoli… più a lungo in mano ai trafficanti di esseri umani»), ma non i numeri delle persone in fuga.

«Se non riscopriremo presto che quello che potrà salvare loro è anche quello che può salvare noi – è l’appello della Migrantes -, saremo costretti a riconoscere che chiudendo le frontiere, violando i trattati internazionali e respingendo le persone che fuggono o provando a farle entrare con il contagocce, a perderci di più saremo noi: l’Unione Europea che sembra aver dimenticato che i diritti umani non basta scriverli sulla carta, bisogna metterli alla base delle proprie azioni. La sicurezza, anche dopo gli attentati di queste ore a Bruxelles, non può nascere dalla chiusura, ma dal riconoscimento delle persone che va oltre l’identificazione. Da una relazione nuova con le persone. Da percorsi di inclusione: tutto ciò che esclude alimenta contrapposizione e conflittualità.  O l’Europa ritorna sui passi della solidarietà o non avrà futuro!».

Collegamenti

Accordo UE-Turchia/ Gli hotspot greci diventano centri di detenzione: l’UNHCR, contrario, sospende alcune attività (UNHCR, 22 marzo 2016)

Accordo UE-Turchia/ “La promessa di rispettare il diritto d’asilo? Una zolletta di zucchero su una pillola di cianuro” (Amnesty International, 18 marzo 2016)

Accordo UE-Turchia/ “Sono esseri umani, non merci: un accordo illegittimo” (Centro Astalli, 19 marzo 2016)

Accordo UE-Turchia/ “Un mercanteggiamento sulla testa e la pelle dei rifugiati” (CIR, 18 marzo 2016)

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