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CPR 2024: benvenuti nei luoghi del “non si sa” e del “non si capisce”

È la nebbia che, nel 21° secolo, circonda queste strutture detentive di Stato. Tutti i Centri per il rimpatrio (CPR) oggi attivi in Italia sono stati visitati in contemporanea da alcuni parlamentari e da rappresentanti  del Tavolo nazionale asilo e immigrazione (TAI). Che denuncia: «Nessuna direttiva o altra norma europea prevede l’istituzione dei CPR. Le organizzazioni del TAI esprimono grande preoccupazione per le pratiche detentive, discriminanti e criminalizzanti che si stanno estendendo sempre più a tutti gli stranieri che arrivano alle frontiere italiane». Su Vie di fuga il dossier di monitoraggio di TAI e parlamentari.

(Foto Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale).

 

«La maggior parte provengono dal carcere. Ma tanti anche dalla strada o dagli sbarchi. Per la quasi totalità uomini, ma anche qualche donna, compresa una che “non parla”. Presenti in diversi centri anche richiedenti asilo: perché siano lì non si sa, non si capisce ed è illegittimo alla luce della normativa italiana, europea e internazionale. In apparenza non sono presenti minori, anche se in un centro non si è escluso che ci siano passati, mentre protocolli ne prevedono la permanenza per il tempo necessario per l’accertamento dell’età».

“Non si sa”, “non si capisce”, “non è escluso”. Pare impossibile, ma è la nebbia che circonda delle strutture detentive di Stato nel 21° secolo. Parliamo dei CPR, i Centri per il rimpatrio. Lo scorso 15 aprile tutti i CPR oggi attivi nel nostro Paese (otto) sono stati visitati in contemporanea da alcuni parlamentari e da rappresentanti degli  oltre 40 fra organismi e associazioni che compongono il Tavolo nazionale asilo e immigrazione (TAI), la principale coalizione della società civile italiana impegnata per i diritti delle persone di origine straniera.

TAI e parlamentari hanno così riassunto i risultati del loro monitoraggio in una conferenza stampa: «Al di là dell’aspetto igienico e sanitario, carente quasi ovunque, si riscontrano criticità strutturali che confermano la necessità di chiudere questi luoghi di detenzione amministrativa dove persone che non hanno commesso alcun reato vengono detenute in assenza dei fondamentali diritti garantiti alle persone private della libertà in Italia».

… Ma che ci fa lì dentro quel “comunitario”?

L’iniziativa ha permesso la realizzazione di un primo dossier (v. nell’allegato a questa news). Negli otto CPR, Gradisca d’Isonzo (Gorizia), Milano, Roma, Palazzo San Gervasio (Potenza), Bari, Restinco (Brindisi), Caltanissetta e Macomer (Nuoro), i visitatori si sono focalizzati sui dati quantitativi, ma soprattutto sulle strutture e le condizioni di “trattenimento”, sul diritto alla salute, sulle comunicazioni con l’esterno, sulla garanzia della tutela legale (comprese le informazioni sui diritti e sui doveri) e i servizi erogati nei centri (comprese la presenza di spazi comuni e l’offerta di attività ricreative e sportive).

Che cosa vi hanno trovato? Prima di tutto dei gestori. «Otto gestori privati – si legge nel dossier -, aziende, cooperative o altri enti del terzo settore, in un caso un commissario, con personale proprio e consulenti di vario tipo contrattualizzati o a chiamata. Non sono stati consegnate, neanche su apposita richiesta, le specifiche tecniche che integrano i capitolati di appalto». Che cosa fanno? «Gestiscono luoghi-non luoghi che assomigliano tanto a carceri, con celle stipate di persone, dove il tempo non passa mai, situati per lo più lontano dalla vista dei cittadini comuni (e dal loro cuore). Troppo spesso le fragilità, fisiche e psicologiche, non sono contemplate né trattate, se non con psicofarmaci e sedativi».

Poi, naturalmente, ci sono loro, gli “ospiti“: oltre 500 persone in tutto, perlopiù di origine nordafricana (Tunisia, Marocco, Algeria, Egitto), subsahariana (Nigeria, Gambia) e poi pakistana, iraniana, kirghiza, georgiana. Ma anche un comunitario «che non sa perché si trova lì».

I tentativi di suicidio? “Simulazione”

«È stato possibile parlare con alcuni ospiti dei centri. Da questi colloqui sono emerse le criticità maggiori: sensazione di spaesamento, estraneazione, non sanno cosa fanno lì e per quanto tempo, non sono stati informati dei diritti che hanno, vogliono parlare con un avvocato, hanno chiesto aiuto».

E ancora: «Laddove è stato possibile visionare il registro degli eventi critici, atti autolesivi e gesti anticonservativi sono risultati all’ordine del giorno, così come è impressionante il numero di tentativi di suicidio, normalizzati nel racconto dell’ente gestore e derubricati a mera “simulazione”».

“Ce li ha chiesti l’Europa”: ma dove, ma quando?

«Nessuna direttiva o altro atto normativo europeo prevede l’istituzione di queste strutture disumane, che da più di 25 anni mostrano di essere inutili ed inefficaci anche per gli scopi per i quali sono state introdotte nel Testo unico sull’Immigrazione del 1998. Le organizzazioni del TAI esprimono grande preoccupazione per le pratiche detentive, discriminanti e criminalizzanti che si stanno estendendo sempre più, come previsto dal DL 124/2023 (conv. con la legge 162/2023) e dal nuovo Patto europeo migrazione e asilo, a tutti gli stranieri che arrivano alle frontiere italiane. Questo creerà ulteriori divisioni nella società, alimentando campagne contro l’immigrazione a fini elettorali, senza affrontare il complesso fenomeno della mobilità delle persone» (dal dossier di monitoraggio TAI-parlamentari, aprile 2024).

Allegato

CPR: il dossier di monitoraggio di TAI e parlamentari (aprile 2024, file .pdf)

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