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Duccio Facchini (Altreconomia): “Sui migranti abbiamo ‘già dato’? Ma dove, ma quando?”

Il silenzio «fragoroso» delle istituzioni italiane di fronte a richieste e denunce sulla gestione delle frontiere esterne. Le tendenze (preoccupanti) che si profilano all’orizzonte. Le verità che emergono dai numeri e che si fa finta di non vedere. Nelle settimane e nei giorni della strage alla frontiera Nador-Melilla (praticamente già finita nell’oblio) e del vertice intergovernativo di Ankara ne abbiamo discusso con Duccio Facchini, direttore della rivista Altreconomia e coautore del recente libro inchiesta Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo.

 

 

Duccio Facchini, ecco la nostra domanda numero 1: in questi mesi avete avuto delle reazioni, delle precisazioni da parte delle istituzioni che chiamate pesantemente in causa nelle pagine di Respinti? Pensiamo fra l’altro alla questione dei numeri che “non tornano” sugli sbarchi in Italia (con il vostro mensile siete tornati ad occuparvene ancora di recente), ma anche ai finanziamenti e alle politiche Italia-Libia nel Mediterraneo centrale, alla gestione del confine orientale…

Duccio Facchini, direttore di “Altreconomia”.

«In realtà non c’è stato alcun riscontro significativo ufficiale da parte dei profili istituzionali che sono direttamente coinvolti nel respingere o nel confinare le persone. Proprio sulla questione dati: con noi la Guardia costiera ha sempre avuto un atteggiamento di silenzio fragoroso, negandoci negli anni i report, poi sostenendo che non erano disponibili a causa di “revisioni grafiche in corso”, fino ad arrivare al più classico dei silenzi, sia di fronte alle domande rivolte all’ufficio stampa, secondo i canali canonici dei rapporti con i media, sia di fronte al percorso dell’accesso civico generalizzato. Però nell’ultimo periodo stiamo riscontrando una forte resistenza anche da parte del Viminale, che ormai nega tendenzialmente carte e risposte opponendo la questione della “materia di polizia” o delle “relazioni diplomatiche fra Paesi”. Davanti alla negazione delle risposte e degli atti, non c’è da stupirsi che poi nessuno si prenda la briga di “smentire”, “precisare”, “informare”. Ecco, questa è la nostra esperienza».

Ricordiamo, en passant, che stiamo parlando non di segreti militari o strategici, ma dei movimenti di migranti, uomini, donne, bambini.

«Un altro esempio su un silenzio che ci è stato opposto è quello sulla convenzione del novembre 2021 fra il ministero dell’Interno e il Comando generale delle Capitanerie di porto, quindi la Guardia costiera, per la cessione da parte di quest’ultima di tre motovedette al Viminale, perché quest’ultimo poi le passasse ai libici (parliamo di tre motovedette “classe 300” costruite dal Cantiere Navale Vittoria, che è un soggetto strategico in questo tipo di forniture). Vale a dire, noi abbiamo richiesto il testo di una convenzione fra due soggetti pubblici. Ebbene, la risposta è stata: non ve lo diamo perché la questione ha a che fare con le relazioni fra Italia e Libia. Siamo a questo livello. A questo punto che cosa fai? Fai opposizione al Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza, e poi o vai al TAR oppure “va bene così”, nel senso che ti limiti a sottolineare come notizia il silenzio e la chiusura delle istituzioni. Non si può andare avanti in questo modo… Ma intanto è la regola. Del resto, è stato così anche sui rapporti Italia-Slovenia con la “circolare Piantedosi” sulle riammissioni informali…».

Respinti, la cifra del nostro tempo

«L’accesso all’Europa, e dunque alla protezione internazionale per chi avesse voluto farne domanda – un altro diritto fondamentale -, è stato reso sempre più insicuro, pericoloso, mortale… Scenari di una strategia politica rivendicata ma allo stesso tempo avvolta nel buio. Dagli “accordi” con Turchia, Libia o Tunisia ai respingimenti lungo la rotta balcanica, nel Mediterraneo, nell’Egeo, lungo il fiume Evros (Grecia-Turchia) o al confine tra Bielorussia e Polonia, passando per il limbo del Sahel, i campi di confinamento in Bosnia ed Erzegovina, in Grecia, in Macedonia del Nord, in Serbia. Criminalizzando i solidali e i soccorritori. Sono i respinti la cifra del nostro tempo».

Se ne parla in Respinti. Le “sporche frontiere” d’Europa, dai Balcani al Mediterraneo (Altreconomia Edizioni 2022, pp. 192, euro 16,00), un libro inchiesta fitto di dati, fatti e denunce dei giornalisti Duccio Facchini e Luca Rondi. Ai sette capitoli curati dai due autori si aggiungono i contributi di alcuni esperti: oltre a quello iniziale di Gianfranco Schiavone, più un vero e proprio saggio di sintesi che una prefazione, quelli di Caterina Bove, Anna Brambilla, Riccardo Gatti e Maurizio Veglio e le conclusioni di Mariacristina Molfetta.

Duccio Facchini (1988), direttore della rivista Altreconomia, è anche autore di Mi cercarono l’anima. Storia di Stefano Cucchi (2013) e Alla deriva. I migranti, le rotte del Mar Mediterraneo, le Ong (2018), entrambi pubblicati da Altreconomia. Luca Rondi è giornalista per Altreconomia e operatore sociale.

 

 Domanda numero 2: le politiche, le azioni extra-politiche, gli abusi, le violenze che in Respinti descrivete fin nei dettagli ruotano, alla fine, attorno all’assunto che, se non fossero attuati, i migranti arriverebbero in Europa in numeri non gestibili. Possiamo dire una parola su questo?

«Ormai è ampiamente provato che, uno, questa strategia di respingimento è stata portata avanti, negli anni, indipendentemente dall’entità dei flussi, cioé dal fatto che alle frontiere arrivassero tanti o pochi migranti. Lo abbiamo visto, ad esempio, su una frontiera chiave come quella fra Grecia e Turchia, nel’Egeo come al confine di terra. Poi, due, siamo tutti consapevoli che, anche in presenza di quei “tanti”, parliamo di poche decine di migliaia di persone a fronte di un disastro umanitario globale per migrazioni forzate che ha dimensioni incomparabilmente più grandi, come ci insegna ogni anno anche il vostro rapporto Migrantes. Quindi, sia per la dinamica regionale delle migrazioni, e quindi anche di quelle forzate, sia per le difficoltà di percorso, sia per la lontananza geografica dell’Europa da alcuni contesti, i flussi che interessano il nostro continente sono fortemente al ribasso».

Però, di fatto…

«Di fatto, invece di garantire una risposta che sia dignitosamente solidale, come è stato fatto in parte con i profughi dell’Ucraina, la risposta è quella del respingimento brutale. Lo dicono i numeri».

Per esempio?

«Guardiamo alla situazione del confine greco-turco. Dalla Grecia fra il 2020 e il 2021, a fronte di flussi che si sono attestati sui 20 mila attraversamenti irregolari (e quest’anno siamo di nuovo su quell’ordine di grandezza), abbiamo assistito a quasi 20 mila respingimenti: sono 540 gli “eventi” censiti e ricordati anche dal relatore ONU per i diritti umani dei migranti González Morales. E intanto si equivoca, si gioca su un’emergenza che non esiste, ma che oggi sembra aver contagiato anche il nostro Presidente del Consiglio: da noi i numeri di arrivi e accoglienze sono assolutamente risibili per dire “abbiamo fatto troppo” o “sono troppi” e che quindi siamo autorizzati a mettere dei “limiti” inumani».

Però perfino l’Agenzia europea per l’asilo, l’ex EASO, giorni fa ha denunciato che la sbandierata solidarietà fra i Paesi membri dell’UE, e quindi anche con il nostro Paese, in tema di migrazioni è nei fatti «sporadica».

«Certo. Ma se guardiamo ai dati sulle richieste d’asilo, vediamo che nel 2021 quello registrato in Italia è un sottomultiplo rispetto a quelli di Germania e Francia. Inoltre abbiamo meno di 90 mila persone in accoglienza, quando in passato siamo arrivati ad averne 180 mila, mentre intanto sono entrati nel nostro Paese 97 mila profughi ucraini: vale a dire, in quattro mesi, un numero di persone superiore a quei 90 mila richiedenti asilo e rifugiati (dei quali, ricordiamolo, la stragrande maggioranza si trova nei CAS). E poi ci vengono a dire che “abbiamo già dato”. Ma dove, ma quando?».

Domanda numero 3: le ultime settimane, al netto dell’emergenza Ucraina, hanno visto alle frontiere dell’UE orrori come la strage alla frontiera di Nador-Melilla del 24 giugno, e timidi propositi di “apertura” come la decisione del nuovo governo sloveno guidato da Robert Golob di rimuovere le barriere di filo spinato al confine con la Croazia. Ma che sviluppi futuri possiamo prevedere per la situazione ai confini dell’Unione?

«Purtroppo le prospettive che si delineano sono di pura continuità. Ad esempio, pochi giorni prima della strage di Melilla, Frontex annunciava il rilancio dell’operazione Minerva fra Spagna e Marocco. Si era deciso di andare avanti nella direzione di cui questa Agenzia è la più degna rappresentante: fare di tutto per impedire alle persone di entrare in UE. Ecco, abbiamo subito visto cosa comporta, fra i suoi effetti, questa strategia: frontiere pericolose e persone costrette a fare di tutto per provare a passare. D’altra parte, per carità, può esserci l’apertura slovena…».

Si parla di quasi 200 chilometri di filo spinato e “pannelli”, anche se si tratta di un piccolo Paese che non ha frontiere esterne.

«Sì, ma sulla rotta balcanica e ai suoi snodi principali, penso alla Bosnia-Erzegovina ma soprattutto alla Serbia (in questo periodo un Paese veramente strategico per il transito di migranti, non foss’altro per lo sbocco verso l’Ungheria, la Romania e soprattutto la Croazia), i “muri” e il filo spinato rimangono, e con loro i respingimenti, e risposte umanitarie azzerate dal punto di vista dei servizi di prima necessità. Quindi la risposta europea rimane la solita, non cambia niente. Anzi, le dichiarazioni al vertice del 5 luglio di Ankara, con il governo turco che si lamenta dei respingimenti greci, un paradosso, e con l’Italia che annuncia “limiti” raggiunti, preparano il terreno a un’ulteriore stretta nel solco del cosiddetto “accordo” UE-Turchia del 2016 e del memorandum Italia-Libia, che va a rinnovo proprio nelle prossime settimane. Cioè si torna a usare i soliti strumenti retorici, infondati sotto il profilo dei numeri, per giustificare politiche fallimentari. Ma a proposito di numeri, mi piacerebbe concludere con una osservazione, se posso…».

Certo, prego…

«Lo diciamo sempre nelle presentazioni del nostro libro: dobbiamo tutti, sempre, mettere in evidenza quanto è avvenuto in positivo con i profughi dell’Ucraina. Usando i numeri si può suggestionare la gente con narrazioni terroristiche, ma questa vicenda ci insegna, sia pure con le dovute distinzioni e precauzioni, che i numeri non sono un problema: quando si vuole, la solidarietà sa fare spazio. Abbiamo assistito a movimenti colossali, questi sì davvero colossali, di quattro milioni di profughi verso la sola Polonia, di 97 mila in Italia e non si è fatta una piega, perché era giusto così, con l’attivazione della direttiva 55 del 2001. Invece paradossalmente poco a Nord della frontiera ucraina continuiamo ad assistere agli abusi e alle violenze contro meno di 20 mila migranti tra Bielorussia e Polonia. Human Rights Watch a giugno ha pubblicato un aggiornamento che riporta lo stesso tipo di testimonianze di un anno fa. A proposito della continuità di strategia…».

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