Popolazione: 3.684.000 ab. (stime 2022)
Aspettativa di vita alla nascita: 62.8 (Fonte UNDP)
Superficie: 117.600 km² (Fonte UNData 2014)
Rifugiati all’estero: 507.267 rifugiati (fonte ISPI, Caritas italiana 2019)
Indice salute materno-infantile: 152a su 178 (Fonte Save the Children 2014)
Teatro di molteplici conflitti, l’Eritrea è un Paese isolato che sta lentamente perdendo più generazioni di giovani, tutti in fuga verso terre dove i diritti umani siano una reale possibilità. Il popolo eritreo è circondato da anni da un silenzio mediatico tanto da meritarsi l’appellativo ‘i dimenticati della terra’.
Politica e storia recente
Pur essendo un piccolo Paese del Corno d’Africa l’Eritrea riveste un’importanza strategica per la sua posizione di retroterra del Canale di Suez. La sua storia recente è caratterizzata dal primato di aver ottenuto per ben due volte l’indipendenza: la prima nel 1952 dal protettorato britannico e la seconda nel 1993 anno in cui ottiene definitivamente l’indipendenza dall’Etiopia. Infatti, dopo la colonizzazione britannica, l’Etiopia ingloba l’Eritrea (1962), e con questa operazione causa un conflitto trentennale, alla fine del quale l’Eritrea ottiene l’indipendenza, sancita da un referendum popolare.
Il presidente dell’Eritrea è Isaias Afewerki, unico eletto fin ora dalla dichiarazione di indipendenza del 1993; esponente del Fronte popolare per la democrazia e la giustizia (PFDJ). Se nei primi anni il Paese sembra muoversi verso una democrazia libera e multipartitica la situazione che si concretizza è quella di una progressiva militarizzazione che porta l’Eritrea a entrare in conflitto con tutti i paesi vicini, anche se il conflitto più grave è quello che scoppia, nel 1998, con l’Etiopia per una controversia sul confine della regione del Gash-Barka, che non era mai stato tracciato con precisione. Il conflitto si interrompe nel 2000 a seguito dell’intervento della United Mission in Eritrea and Ethiopia (Unmee) che impone ai due stati un cessate il fuoco. Il compito di tracciare nuovamente i confini viene affidato ad una Commissione Internazionale ma il verdetto non viene accettato dall’Etiopia. La condizione rimane invariata sia sul piano dei confini sia su quello del rapporto tra i due stati, fino al 2018 quando giunge dal governo di Addis Abeba il segnale che pone le basi per mettere fine al conflitto tra Etiopia e Eritrea: la decisione di applicare gli accordi di Algeri del 2000, con le relative disposizioni della Commissione indipendente creata per sciogliere il nodo della demarcazione della frontiera tra i due paesi.
Dopo la firma Etiopia ed Eritrea ripristinano le relazioni diplomatiche e gli scambi commerciali, aprono le frontiere al passaggio non solo dei beni ma anche delle persone, riattivano le linee telefoniche che connettono i due paesi e i voli dell’Ethiopian Airlines per Asmara.
Accanto a questi fatti la dura condizione dei diritii umani in Eritrea non dimostra un cambio di passo. A settembre 2022, secondo quanto riportato dalla Bbc, il Governo eritreo avrebbe cominciato a mobilitare tutte le riserve militari, chiamando alle armi la popolazione maschile al di sotto dei 55 anni per ingrossare le fila impegnate nella nuova offensiva contro le forze tigrine. L’Eritrea combatte infatti a fianco del Governo etiope dall’inizio del conflitto nella regione del Tigrai che, dopo cinque mesi di relativa pace, è stato segnato da una generale ripresa delle ostilità a fine agosto 2022. Approfittando della nuova escalation, le forze di Afwerki avrebbero lanciato una nuova offensiva di larga scala in diverse aree del Tigrai al confine con l’Eritrea. Le forze eritree sono accusate di aver fatto sparire con la forza decine di rifugiati eritrei che vivevano nel Tigrai e di averne rimpatriato coercitivamente diverse centinaia.
La situazione dei diritti umani
Afewerki ha lentamente stretto l’intera popolazione sotto una vera e propria dittatura che ferocemente contrasta ogni forma di opposizione politica e di rapporto con l’esterno. Due episodi tracciano il quadro di una situazione allarmante. La prima quando nel 2011 l’intera regione del Corno d’Africa si trova a far fronte alla peggiore carestia mai avvenuta dal 1960. Il governo di Aferweki nega la situazione di emergenza e rifiuta, in linea con l’atteggiamento isolazionista, anche gli aiuti alimentari esteri. La seconda quando nel gennaio 2013 un gruppo di soldati si ribella al governo di Asmara, occupa il Ministero dell’Informazione e costringe un giornalista a leggere un comunicato in cui si esige l’attuazione della Costituzione, la tenuta delle elezioni e il rilascio di prigionieri politici. Nonostante la rivolta sia immediatamente soffocata essa rivela un malcontento generale e diffuso.
Gli osservatori internazionali continuano a denunciare le gravissime condizioni in cui si trova il popolo eritreo costretto alla leva obbligatoria per aumentare l’efficienza dell’esercito in costante allarme per la contesa dei confini con l’Etiopia. Infatti la leva obbligatoria, in origine di diciotto mesi, viene estesa molto oltre il termine (può durare anni) e ai cittadini al di sotto dei cinquanta anni è negato l’ottenimento di un visto per lasciare il Paese.
Le famiglie di coloro che lasciano l’Eritrea clandestinamente rischiano multe e detenzione e in diversi casi i migranti stessi, se scoperti, vengono giustiziati a sangue freddo ma nonostante questa situazione l’Eritrea rimane una delle nazioni ai primi posti per flussi migratori in uscita.
Il popolo eritreo sta vivendo una vera e propria crisi umanitaria a causa delle gravi limitazioni della libertà che sfociano spesso in episodi di torture, lunghe prigionie e continue violazioni dei diritti umani.
6 commenti
sig.ra Mirtha Sozzi,
il suo articolo è pieno di idiozie: popolazione 65 milioni!!! La foto dei militari che costruiscono una diga per trattenere la poca acqua piovana, acqua significa vita, acqua significa la sicurezza alimentare, un obiettivo del Millenium Goal delle Nazioni Unite che l’Eritrea presto raggiungerà anche grazie ai suoi militari. Costruire dighe lei lo chiama invece lavori forzati, si vergogni!
Sig. Daniel,
La ringrazio molto per avermi indicato il refuso circa il numero di abitanti dell’Eritrea. E ho anche tolto la didascalia sotto la fotografia, che io, sbagliando evidentemente, ho solo ripreso dal sito da cui ho attinto la fotografia. La prego di moderare il suo linguaggio e usi la parola idiozia in contesti più appropiati. Tutti possono sbagliare e tutti possono farlo senza dover temere commenti come il suo che più che cercare un dialogo cerca di offendere. Se Lei ha altro da aggiungere non esiti a scriverci ancora.
Mirtha Sozzi
Da molti anni l’Eritrea combatte in solitaria una guerra mediatica dove al posto dei proiettili vengono sparati informazioni menzognere per demonizzare la sua politica e la sua leadership. Questa guerra è ordita dall’Etiopia (che ancora sogna di riannetterla) e dal suo eterno alleato: gli Usa (questi ultimi farebbero del nostro incontaminato territorio la più grande base militare). E finora le loro menzogne hanno causato al Paese due ingiuste sanzioni delle Nazioni Unite e si sa che le sanzioni colpiscono direttamente la popolazione.
Dopo 5 anni, il SEMG (il Gruppo di Monitoraggio Eritrea-Somalia) il 14 ottobre 2014 ha dichiarato di non aver trovato nessuna prova che l’Eritrea abbia aiutato Al Shabbab. Ma i giornalisti occidentali schierati in questa guerra contro l’Eritrea dimenticano sempre di riportare la notizia, come ha fatto lei sig.ra Mirtha.
Lei non è mai stata in Eritrea nemmeno per documentarsi sul perché i nostri giovani fuggono da lì. È vero, uno dei motivi è stato quello del servizio militare prolungato.
Purtroppo quando ci sono ancora dei territori eritrei illegalmente occupati dall’Etiopia nonostante la EEBC dell’Onu (Commissione per i confini Eritrea-Etiopia) avesse assegnato quei territori in modo definitivo all’Eritrea già dal 2002, quando c’è la costante minaccia di un’invasione militare non si può pensare di mettere giù le armi e abbandonare il confine. Voler difendere la propria sovranità non è sinonimo di dittatura.
Lei ha dimenticato di citare nel suo articolo il documento della Danish Immigration Service (datato novembre 2014) secondo cui il 99% dei richiedenti asilo eritrei sono motivati da cause di tipo economico e che le accuse di mancanza di diritti umani siano delle esagerazioni da attribuire alle ONG dei Diritti Umani che non hanno mai messo piede in Eritrea.
Infatti, è noto che i giovani eritrei arrivati con i barconi sceglievano di non fermarsi in Italia prediligendo l’accoglienza proficua dei paesi del nord Europa. E riconoscere lo status di rifugiato ai soli eritrei ha causato molti danni, il primo fra tutti nei confronti dell’Eritrea stessa: un paese senza più giovani è facilmente attaccabile. Ma anche altri cittadini africani che conoscevano questa “discriminazione” si sono dichiarati eritrei facendo lievitare il numero dei rifugiati eritrei.
Dietro all’esodo dei giovani eritrei c’è un progetto criminale per indebolire il Governo Eritreo in cui sono coinvolte ONG dei diritti umani, l’Etiopia e gli Usa. Il Presidente Obama in un discorso pubblico tenutosi alla Clinton Global Initiative del 2009 dichiarava: “Recentemente abbiamo rinnovato le sanzioni su alcuni dei paesi più tirannici tra cui Corea del Nord e Eritrea, abbiamo partnership con i gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini, stiamo aiutando altri paesi ad intensificare i loro sforzi e vediamo dei risultati…” (il video si trova facilmente su Youtube).
Mentre Human Rights Watch di George Soros dava disposizione alle sedi delle UNCHR in Etiopia, Sudan ed Egitto di non ostacolare i rifugiati eritrei: “Fate in modo che possano accedere facilmente alle vostre strutture”.
[…] di gran lunga prevalente è quella dei richiedenti asilo e dei migranti che hanno lasciato l’Eritrea, ben […]
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