Cinquecento euro, un permesso di soggiorno per protezione umanitaria, un documento che serva da passaporto (“titolo di viaggio”) e un bell’ “in bocca al lupo” con la speranza di non rivederci mai più. Finisce così l’ “Emergenza nordafrica” che aveva portato in Italia circa 50.000 persone in fuga dal nord Africa nel pieno della crisi sociale e politica di quella parte del continente.
E’ questo il modo con cui sono stati congedati gli ultimi 13.000 rifugiati in Italia e ancora presenti nelle strutture di accoglienza. Lo ha decretato una circolare del Ministero degli Interni datata 18 febbraio 2013. Per evitare equivoci sul senso del “titolo di viaggio” e dei 500 euro c’è il testo stesso del documento che specifica di che cosa si tratta: “Misure per favorire i percorsi di uscita” nei quali rientrano “i programmi di rimpatrio volontari e assistiti”. Si tratta di una vera e propria buona uscita con l’incognita del dove andare e del come vivere. Anche perché in questi due anni a fronte di un costo complessivo davvero alto (1 miliardo e 300 milioni) risulta assai basso il risultato in termini di integrazione, accesso a una vita autonoma, inserimento nel mondo del lavoro. Un’unica eccezione viene concessa ed è per i minori non accompagnati richiedenti asilo per i quali la Circolare stanzia 2 milioni e 500 mila euro perché siano seguiti dal momento della richiesta d’asilo fino all’inserimento nel circuito SPRAR.
Non proprio bruscolini
Eppure appare evidente che con due anni di tempo e 20.000 euro per persona accolta si sarebbero potuti costruire molti progetti per fare in modo che una situazione emergenziale potesse diventare un modello di accoglienza e integrazione. Da più parti sono state denunciate le situazioni in cui nulla è stato fatto oltre il minimo indispensabile, la fornitura cioè di vitto e alloggio. Nulla che permettesse a queste persone di riprendere in mano la propria vita per un progetto di autonomia che non è solo una questione di dignità, ma è anche l’opportunità di offrire un contributo alla società.
Fino alla prossima emergenza
Eppure idee, possibilità, progetti, esperienze non mancano e non necessitano neppure di un grande sforzo di fantasia: corsi di italiano, formazione professionale, stage presso aziende, sostegno nel trovare un’abitazione. E lo testimoniano quelle (poche) realtà locali in cui, invece, l’”emergenza Africa” è stata colta come un’occasione di reale integrazione. D’altra parte anche la Caritas e la Fondazione Migrantes avevano segnalato come “la prospettiva realistica di nuovi flussi verso l’Italia di persone che vivono il dramma della fuga per ragioni politiche e religiose non permette di lasciare ulteriormente nella precarietà strutture e percorsi di accoglienza e protezione umanitaria nel nostro Paese”. Ancora una volta si trattava di affrontare il tema rifugiati e richiedenti asilo con progetti e iniziative strutturali, fuggendo da una logica emergenziale poco utile e assai costosa. Ancora una volta così non è avvenuto.
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