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di Silvia Ponzio

Il popolo curdo è tristemente noto per la discriminazione che lo colpisce sin dall’inizio del XX secolo. A Mahmura, nel nord Iraq, un gruppo di profughi curdi fuggiti dalla Turchia sopravvive in un campo tra mille difficoltà e col peso del silenzio internazionale.

La discriminazione razziale contro i curdi è stata particolarmente forte nella parte del Kurdistan turco e siriano. È stata attuata tramite ogni mezzo: dalla televisione alla stampa, dalle istituzioni scolastiche alla radio, dalla polizia all’esercito. All’inizio degli anni Novanta, lo Stato turco iniziò a evacuare con la forza numerosi villaggi contadini curdi, ritenuti i responsabili della guerriglia tra il PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e l’esercito ufficiale. Chiunque si opponesse all’abbandono forzato della propria casa e del proprio bestiame veniva arrestato, torturato o ucciso. Tra le varie misure discriminanti, fu vietato parlare in curdo, pronunciare la parola Kurdistan, ascoltare musica curda.

Nel 1994 si raggiunse il culmine della violenza: la Turchia iniziò un’offensiva armata contro i civili curdi. Oltre trentamila persone abbandonarono i loro villaggi alla volta del sud Kurdistan, in territorio iracheno. In seguito a vari spostamenti, si stabilirono definitivamente a Mahmura, una zona desertica senza acqua né alcuna comodità, dove istituirono un campo di tende. Aiutati solo dalle famiglie curde della zona e completamente abbandonati da ogni Stato, riuscirono pian piano a rendere il posto vivibile. Oggi vi vivono oltre dodicimila persone auto-organizzate democraticamente attorno a ventuno consiglieri e un sindaco che ha il ruolo di coordinare le attività del campo. Esistono un ambulatorio di base, tre scuole primarie autogestite e finanziate da insegnanti volontari e una scuola primaria dell’ONU. L’orgoglio per le scuole autogestite è molto forte e, nonostante il materiale scolastico scarso e molti libri scritti a mano, queste scuole sono percepite come il “primo angolo di Kurdistan libero”. Si insegna, infatti, in curdo e i ragazzi, oltre alla loro lingua madre, sono liberi di studiare anche il turco e l’inglese. 

campo di Mahmura

Nonostante la municipalità di Mahmura sia stata riconosciuta da Baghdad, gli abitanti del campo sono stati molte volte attaccati violentemente dalla Turchia e hanno subìto delle minacce di sgombero immediato del campo. Come risultato, molti si sono spostati in altre zone. La Turchia ha provato più volte a far tornare i curdi entro i propri confini, facendo finte promesse o pressione sull’ONU, gli Stati Uniti e l’Iraq. Venne fatta anche circolare la voce che all’interno del campo si stessero addestrando dei terroristi, ma la notizia non venne mai confermata.

Gli abitanti del campo sono rifugiati e godono (o dovrebbero godere) della protezione dell’ONU. Non hanno nessuna intenzione di tornare in Turchia, nel Paese da dove provengono e dove non vi è alcuna garanzia di sicurezza e libertà politica e culturale.

A Mahmura esistono difficoltà legate alla scarsità del materiale scolastico, all’assenza di luoghi di svago, sportivi, culturali e teatrali, ma i problemi più grandi da gestire riguardano la mancanza di un ospedale. L’unico ambulatorio non è in grado di gestire le malattie dell’apparato respiratorio, dei reni, le complicazioni del parto, le disabilità e le malattie causate dalle armi al napalm o all’uranio impoverito usate contro di loro. Le cattive condizioni climatiche e l’inquinamento dell’acqua complicano la gestione della situazione e i casi di cancro sono in continuo aumento. L’unica soluzione rimane l’uscita dal campo per sottoporsi a cure molto costose.

La comunità internazionale non si pronuncia sulla condizione drammatica del campo di Mahmura e i suoi abitanti, schiacciati da questo silenzio, non possono far altro che coltivare la loro dignità di esseri umani, preferendo rimanere in condizioni di vita critiche piuttosto che tornare in un Paese dove non hanno alcuna garanzia di Libertà.

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