La questione dei diritti sociali per richiedenti e titolari di protezione internazionale rappresenta un tema particolarmente ostico a causa sia della sua complessità che della difficoltà di individuare un “frame” dove poterlo inquadrare e comprendere. Infatti, mancando una legge organica sull’asilo, all’incontrovertibilità del principio giuridico secondo cui ai rifugiati (e in modo analogo ai richiedenti) spettano una serie di diritti “alle stesse condizioni del cittadino italiano” corrisponde un quadro normativo assai frammentato.
Nel parlare di diritti sociali goduti e realmente esercitabili da parte di richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale è necessario concentrarsi su due livelli distinti ma complementari: da una parte, individuare con precisione i diritti di cui si è titolari e valutare l’adeguatezza dei servizi offerti per renderli effettivi; dall’altra, esaminare concretamente quali sono le modalità di accesso a tali servizi e rilevare l’eventuale presenza di barriere (burocratiche, amministrative, relazionali, culturali…) che rendono più difficile quando non impossibile il reale godimento dei diritti.
Occorre quindi approfondire per ogni singolo diritto il rapporto fra titolarità ed esigibilità del diritto stesso.
1- Diritto all’informazione
Il diritto a essere informato da parte degli organi dell’amministrazione pubblica e di pubblica sicurezza, sia rispetto alla procedura di asilo sia rispetto i diritti e doveri relativi allo status di richiedente asilo, titolare di protezione internazionale è da considerarsi il fondamento primo del sistema di protezione e l’essenziale garanzia che i diritti siano esigibili. La mancata, parziale o scorretta informazione può influire e interferire in modo determinante anche sull’accesso stesso alla procedura.
L’informazione è considerata tra le garanzie previste dall’art. 10 del D.Lgs 25/08 che prevede che al momento della presentazione della domanda il richiedente sia informato rispetto alla procedura. A garanzia dell’effettivo accesso a quest’ultima il T.U. sull’immigrazione all’art. 11 ha previsto l’istituzione di servizi d’accoglienza ai valichi di frontiera per fornire la necessaria assistenza.
Il diritto all’informazione non cessa però con l’inizio della procedura di asilo ma ne segue tutte le fasi fino alla notifica della decisione della Commissione Territoriale.
Il diritto a essere informati rispetto ai propri diritti e doveri è prerogativa indiscutibile e costituisce la premessa ineludibile affinché ciascuno possa esigere i propri diritti in modo attivo e consapevole.
2- Diritto all’accoglienza
Il diritto all’accoglienza è sancito dal D.Lgs 140/05 ed è teoricamente esercitabile dal momento stesso della dichiarazione di volontà di chiedere asilo. La direttiva Europea 2003/9/CE dispone che gli Stati membri provvedano a che i richiedenti asilo abbiano accesso alle condizioni materiali di accoglienza al momento in cui presentano la domanda di asilo. In Italia la norma individua nella Prefettura l’ente competente in merito.
Per quanto riguarda la struttura di accoglienza il D.Lgs 25/08 prevede che il Questore disponga l’invio in un CARA se ricorrono le specifiche ipotesi di accoglienza o dispone il trattenimento in un CIE. Il suddetto decreto non fornisce indicazioni sulle strutture di accoglienza dove inviare i richiedenti asilo negli altri casi tuttavia stabilisce che è la Prefettura ad accertare la disponibilità di posti all’interno del sistema di protezione dei richiedenti asilo e rifugiati. In mancanza di un posto SPRAR, in via subordinata, il D.Lgs 25/08 dispone l’invio a un centro di identificazione (fermo restando che il richiedente non può essere trattenuto per il solo fatto di esaminare la domanda).
La Prefettura una volta individuato il centro di accoglienza o il progetto SPRAR provvede alla comunicazione dell’indirizzo della struttura stessa alla Questura e alla Commissione Territoriale competente.
Dal momento della notifica del riconoscimento di una protezione internazionale il titolare può usufruire di un periodo di accoglienza di 6 mesi rinnovabili. Tale possibilità non costituisce una misura cui possano accedere per diritto tutti i titolari ma solo una parte di essi, a seconda dei posti disponibili; determinando così una situazione di grave marginalità sociale. Emergono altre due criticità per quanto riguarda le carenze nel sistema accoglienza; la prima è che durante il periodo di attesa di formalizzazione della domanda il soggetto escluso dallo SPRAR non può accedere nemmeno ai servizi socio-sanitari di base, la seconda è che, talvolta, è chiesto al richiedente privo di mezzi una dichiarazione di ospitalità ovvero l’elezione di un domicilio al fine di permettere la verbalizzazione della domanda quando è onere dello Stato fornire accoglienza.
3- Diritto di accesso alla sanità
La tutela sanitaria dei richiedenti asilo presenta diversi aspetti critici a causa del sovrapporsi di disposizioni normative e regolamenti. Il D.Lgs 286/98 dispone che gli stranieri regolarmente soggiornanti (e così chi soggiorna per motivi di ‘asilo’) hanno l’obbligo di iscrizione al SSN e hanno parità di trattamento rispetto ai cittadini italiani. Va rivelato che dall’analisi della norma si potrebbe ritenere che il richiedente risulti sempre iscritto al SSN ma nella realtà dei fatti tale disposizione trova applicazione solo per chi è titolare di un permesso di soggiorno. Sono esclusi i richiedenti destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento e che sono trattenuti in un CIE.
Il permesso di soggiorno per ‘richiesta di asilo’ garantisce un’esenzione specifica della compartecipazione alla spesa per le prestazioni sanitarie sino alla decisione della Commissione Territoriale sulla domanda di asilo (previsto dalla circolare 5/2000 del Ministero della Sanità). Tale misura è coerente con l’impossibilità di lavorare nei primi 6 mesi della formalizzazione della domanda.
Per ciò che attiene la condizione del titolare della protezione internazionale egli gode del medesimo trattamento del cittadino italiano in materia di assistenza sociale e sanitaria (D.Lgs 251/07). In materia di accesso ai servizi sanitari il principio di parità suddetto va declinato da parte delle singole deliberazioni regionali.
L’importanza della garanzia dell’accesso, non differito e continuativo, alle prestazioni sanitarie appare un fattore determinante sia nella prevenzione che nel trattamento di fattori di vulnerabilità specifici della popolazione rifugiata e sia di generali problematiche sanitarie. L’accesso alle prestazioni andrebbe considerato non disgiungibile da una coordinata attivazione di strumenti di adeguata assistenza sociale finalizzati a garantire la continuità terapeutica e percorsi integrati di benessere.
4- Diritto alla tutela dell’unità familiare
La tutela dell’unità del nucleo familiare rappresenta un principio fondamentale dell’ordinamento giuridico, stabilito a livello costituzionale – nonché dal diritto internazionale e comunitario – rispetto a tutti, cittadini e stranieri. Nell’ambito della procedura di asilo si intendono come “familiari” gli appartenenti al nucleo già costituiito prima dell’arrivo nel paese di asilo, ovvero il coniuge e i figli minori a carico.
Dal principio che salvaguardia l’unità familiare discende che:
a- la domanda presentata da un genitore si intende estesa anche ai figli minori presenti sul territorio nazionale e che il colloquio del minore accompagnato avvenga alla presenza del genitore esercitante la potestà;
b- la tutela dell’unità familiare avvenga con la predisposizione di specifiche misure per l’accoglienza dei nuclei;
c-il titolare di protezione internazionale ai fini del ricongiungimento familiare non deve dimostrare di essere in possesso dei requisiti di reddito e di alloggio previsti dall’art. 29 D.Lgs 286/98. La procedura di ricongiungimento appare altresì ulteriormente tutelata dall’art. 29 bis del T.U. che dispone che il rigetto della domanda non può essere motivato unicamente dall’assenza di documenti probatori a causa dell’impossibilità del rifugiato di rivolgersi alle autorità del Paese di origine. Diversamente il titolare di protezione sussidiaria è invece vincolato al rispetto degli obblighi di reddito, alloggio e assicurazione;
La tutela del nucleo appare elemento di forte protezione rispetto gli elementi di vulnerabilità specifici del trauma migratorio: la fuga dal paese significa nella maggioranza dei casi anche la rescissione brusca dei legami affettivi. La prospettiva del ricongiungimento è in molti casi l’impulso a ricostruire un progetto di vita nel paese di asilo. La realizzazione di un ricongiungimento non dipende solo dalle prassi amministrative e giuridiche ma anche dai costi economici implicati. Infatti le necessità di provvedere alle esigenze abitative dei familiari nonché la percezione del titolare circa le garanzia di sostentamento e di sicurezza da dare nel nuovo contesto sono da considerare barriere non facilmente superabili.
5- Diritto all’istruzione, alla formazione professionale e al riconoscimento dei titoli di studio
Per quanto riguarda i minori richiedenti asilo o figli di richiedenti asilo il D.Lgs 140/95 prevede l’obbligo scolastico. L’art. 26 del D.Lgs 251/07 stabilisce che i minori titolari di uno status hanno accesso agli studi di ogni ordine e grado secondo le modalità previste per il cittadino italiano. Lo stesso articolo sancisce i diritti dei titolari di protezione maggiorenni seguendo lo stesso principio.
Per ciò che riguarda l’accesso alla formazione professionale dei richiedenti asilo va innanzitutto ricordato che la Direttiva 2003/9/CE lascia la facoltà agli Stati di autorizzare l’accesso “alla formazione professionale dei richiedenti asilo indipendentemente che abbiano accesso al mercato del lavoro“. Il D.Lgs 140/05 prevede la possibilità di accesso alla formazione professionale per i richiedenti accolti in uno dei programmi SPRAR. L’accesso ai corsi invece non è esplicitamente garantito ai beneficiari accolti nei CARA. Al fine di evitare irragionevoli disparità la norma citata va intese in senso estensivo.
E’ consentito l’accesso agli studi universitari a parità di condizioni con il cittadino italiano per il titolare. Per quanto riguarda il riconoscimento di titoli di studio conseguiti nei paesi di origine è attivo presso il Ministero Affari Esteri un servizio dedicato di presa in carico delle pratiche.
Il mancato accesso a opportunità di alfabetizzazione è da considerarsi un fattore di vulnerabilità: determina una forte dipendenza sia in ambito sanitario che sociale e giuridico e favorisce dinamiche di chiusura e isolamento. Si segnala inoltre che i corsi professionali non sono sempre disponibili e attivi, dipendendo da programmi di finanziamento, e che spesso il livello di competenze linguistiche richiesto li rende nei fatti scarsamente accessibili.
6- Diritto all’assistenza sociale e all’accesso delle prestazioni sociali e previdenziali
Nonostante l’art. 27 del D.Lgs 251/07 preveda che i titolari di protezione abbiano gli stessi diritti del cittadino italiano sia in materia di assistenza sociale che sanitaria nella pratica si riscontrano gravi criticità rispetto a una sua esigibilità. Infatti l’attivazione di misure di assistenza sociale è subordinata alla residenza nel territorio che pur essendo un diritto soggettivo perfetto trova un difficile riconoscimento nei confronti dei “soggetti deboli”. L’attuale sistema di welfare nazionale, in difformità con le esperienze di altri Paesi UE, non garantisce un reddito minimo di sussistenza cui possano accedere i titolari all’inizio del loro percorso di integrazione sociale. L’incertezza e il rischio che ne conseguono sono evidenti: in assenza delle risposte essenziali e primarie il rifugiato può tentare la carta di una mobilità sul territorio nazionale esponendosi a una marginalità che sconfina nell’invisibilità e talvolta nell’illegalità.
7- Diritto di acesso all’occupazione
Per quanto riguarda i richiedenti asilo il D.Lgs 140/05 riconosce il diritto al lavoro solo a coloro che dopo 6 mesi dalla presentazione della domanda di asilo non abbiano ancora concluso l’iter. Tale permesso consente di svolgere attività lavorative solo fino alla conclusione della procedura di riconoscimento e non è convertibile in permesso per motivi di lavoro.
Per i titolari di protezione internazionale e sussidiaria la norma è il D.Lgs 251/07 che dispone il medesimo trattamento fra loro e i cittadini italiani per il lavoro subordinato, lavoro autonomo, iscrizione agli albi professionali e per il tirocinio sul luogo di lavoro. Tuttavia al solo rifugiato è concesso l’accesso al pubblico impiego.
L’ottenimento di una occupazione costituisce il percorso naturale per maturare condizioni di autonomia ed uscire da circuiti assistenziali. L’accesso al mercato del lavoro non può quindi essere lasciato unicamente alla singola iniziativa del titolare di protezione, alla sua bravura o fortuna, ma vanno previsti per tutti i rifugiati percorsi di orientamento e supporto coordinati con i percorsi formativi, capaci di prevedere misure di supporto sociale che evitano, in caso di inoccupazione o perdita del lavoro, il precipitare degli stessi nella condizione da cui era partito.
8- Diritto di accesso all’alloggio
Il tema dell’accesso all’alloggio è cruciale nella definizione del percorso di integrazione. La norma di riferimento è il D.Lgs 286/98 nell’art 40 che attribuisce alle Regioni, in collaborazione con gli enti locali ampie competenze sulla materia disponendo che debbano essere disposti centri di accoglienza destinati a ospitare stranieri regolarmente soggiornanti che siano temporaneamente impossibilitati a provvedere autonomamente alle proprie esigenze alloggiative e di sussistenza.
9- Diritto alla residenza: la chiave di accesso ai diritti sociali
Molti dei diritti riportati sopra divengono esigibili solo in funzione dei documenti attestanti la residenza presso un determinato comune. Spesso in Italia si riscontrano barriere di vario livello per cui il diritto all’iscrizione anagrafica non può essere esercitato.
Va ricordato l’art. 6 del D.Lgs 298/98 che dispone che le iscrizioni e variazioni anagrafiche dello straniero regolarmente soggiornante sono effettuate alle medesime condizioni dei cittadini italiani. Hanno quindi diritto all’iscrizione anagrafica tutti i cittadini stranieri regolari e fra essi i richiedenti asilo e i titolari di una forma di protezione internazionale che abbiano stabilito la loro residenza nell’ambito del territorio comunale o, se persone senza fissa dimora, dimostrino di avere nel territorio comunale il loro domicilio.
L’art. 7 del DPR 223/89 stabilisce che l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente debba essere effettuata per trasferimento di residenza da un altro comune o dall’estero dichiarato da parte dell’interessato. Nel caso dei senza fissa dimora la residenza deve essere eletta nel comune di nascita; questa disposizione esclude a priori i rifugiati in virtù della loro particolare condizione giuridica per cui non possono fare rientro nel loro paese di origine, né ottenere da parte delle autorità nazionali atti o certificazioni. Non potendo quindi in alcun caso ritenersi fissata la residenza nel comune di nascita non può che concludersi che la persona titolare di protezione, se senza fissa dimora ha la residenza nel comune di domicilio.
La giurisprudenza appare univoca nell’affermare che l’iscrizione anagrafica non è un provvedimento concessorio ma un diritto soggettivo. Non può essere di ostacolo all’esigibilità l’impossibilità, frequente nella popolazione rifugiata, di presentare la documentazione prevista dalla normativa generale per i cittadini stranieri. Già la Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato ha affrontato la tematica dell’assistenza amministrativa nell’art. 25 per cui se un rifugiato “ha normalmente bisogno, per l’esercizio di un diritto all’assistenza di autorità straniere cui egli non può rivolgersi, gli Stati Contraenti sul cui territorio l’interessato risiede vigileranno che siffatta assistenza gli sia concessa sia dalle loro proprie autorità si da un’autorità internazionale”.
L’approfondimento è tratto dalla pubblicazione “PER UN’ACCOGLIENZA E UNA RELAZIONE D’AIUTO TRANSCULTURALI. Linee guida per un’accoglienza integrata e attenta alle situazioni vulnerabili dei richiedenti/titolari di protezione internazionale”, realizzato grazie a un progetto finanziato dall’UE e dal Ministero dell’Interno (FER 2008-2013) e a cura di Provincia di Parma e CIAC.
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