Dopo l'”allarme” del presidente libico al-Sarraj sugli «800 mila» profughi che potrebbero cercare rifugio verso l’Italia, un’analisi dell’ISPI evidenzia che almeno negli ultimi anni l’instabilità in Libia non ha alcuna correlazione con il numero di migranti e rifugiati che tentano la traversata verso l’Europa.
«800 mila migranti e libici», con criminali e terroristi al seguito, pronti a imbarcarsi verso l’Italia in fuga dall’ultima escalation bellica in Libia? Così ha paventato Fayez al-Sarraj, il premier del “Governo di salvezza nazionale” di Tripoli attaccato due settimane fa dal signore della guerra della Cirenaica Khalifa Aftar.
Un gustoso “assist” per le fantasie da invasione che si coltivano con cura sulla nostra sponda del Mediterraneo. A meno di guardare a un dato costantemente e minuziosamente monitorato dall’OIM, quello dei migranti totali presenti in Libia: rifugiati più immigrati “economici” e non “economici”, per lavoro di lungo o breve periodo…: l’ultimo monitoraggio dell’Organizzazione per le migrazioni ne stima in totale, in tutto il Paese, circa 667 mila. Alla fine del 2018 erano pochi di meno, 663 mila.
Sulla questione è intervenuto anche il ricercatore Matteo Villa del Migration Programme dell’ISPI, che ha elaborato per il periodo 2014-2017 i dati delle partenze di migranti dalla Libia in rapporto a un “indice di stabilità” nel Paese. «Nella gara a chi la spara più grossa – ha concluso Villa – una sola cosa è certa: l’instabilità in Libia non ha alcuna correlazione con il numero di chi tenta la disperata traversata verso l’Europa». Almeno negli ultimi anni: v. il grafico in alto.
Anzi, afferma Villa, «se confrontiamo le partenze con un anno base (il 2014), l’instabilità sembra avere addirittura l’effetto contrario a quello che suppone chi paventa l'”invasione”. A maggiore instabilità corrispondono minori partenze»: v. grafico qui a lato.
L’indice di stabilità della Libia è calcolato sulla produzione di petrolio nel Paese: più produzione uguale più stabilità. Secondo Villa si tratta di un buon indicatore “proxy“, per quanto imperfetto, della situazione dopo la caduta di Gheddafi.
Dai fanta-scenari catastrofici ai dati veri e reali. I nuovi scontri di Libia hanno già prodotto sino a ieri circa 25 mila sfollati interni e oltre 200 morti.
E nonostante due “ricollocamenti” nel Centro di raccolta e partenza dell’UNHCR di Tripoli avvenuti nei giorni scorsi (ognuno di 150 persone), sono ancora 2.700 i rifugiati e migranti detenuti nei lager della regione e bloccati in aree in cui si combatte.
«Oltre alle persone rimaste ad Abu Selim, vi sono quelle negli altri centri di detenzione in prossimità delle ostilità, fra i quali quelli di Qasr Bin Ghasheer, Al Sabaa e Tajoura – informa l’UNHCR -. La situazione nel Paese continua a evidenziare che la Libia rappresenta un luogo pericoloso per rifugiati e migranti e che quanti fra essi sono soccorsi e intercettati in mare non devono esservi ricondotti. L’UNHCR inoltre ha chiesto ripetutamente che si metta fine alla detenzione di rifugiati e migranti».
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