Il progetto di ricerca internazionale “Fleeing Omophobia” ha esplorato le modalità con cui le autorità dei Paesi dell’Unione europea esaminano le migliaia di domande d’asilo presentate nei confini dell’Ue, ogni anno, da persone Lgbti, fra progressi, insufficienze e pregiudizi.
Potrebbero essere quasi 10.000, e comunque varie migliaia, le richieste d’asilo presentate ogni anno nell’Unione Europea da persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e intersessuali). La stima è contenuta nel rapporto di ricerca Fleeing Omophobia. Domande di protezione internazionale per orientamento sessuale e identità di genere in Europa (2011), frutto di un progetto di Coc Nederland (“la più antica organizzazione al mondo di persone lesbiche, gay e transessesuali”) e dell’Università di Amsterdam in collaborazione con l’Hungarian Elsinki Committee, con l’Avvocatura per i diritti Lgbt/ Rete Lenford (una realtà italiana con sede a Bergamo) e lo European Council on Refugees and Exiles.
Numeri, progressi, pregiudizi
L’entità della stima di circa 10.000 richiedenti Lgbti viene argomentata nell’introduzione del rapporto mettendo a confronto i dati degli unici Paesi europei che compilano statistiche sistematiche sull’argomento, il Belgio e la Norvegia (che non fa parte dell’Ue ma partecipa al suo ’”acquis” sull’asilo), con altre cifre nazionali rese pubbliche in varie occasioni: “Nel 2002 – elenca Fleeing Omophobia -, la Commissione svedese per l’immigrazione ha stimato che il numero di richiedenti asilo in Svezia per motivi di orientamento sessuale o identità di genere sia di circa 300 persone l’anno. Nei Paesi Bassi le domande da parte di richiedenti omosessuali e transgender sono circa 200 l’anno. In Italia, secondo il ministero degli Interni, nel periodo tra il 2005 e l’inizio del 2008 sono stati documentati almeno 54 casi, di cui almeno 29 hanno ricevuto lo status di rifugiato o una protezione umanitaria”.
Ma al centro degli interessi del progetto Fleeing Omophobia ci sono le modalità con con cui questo tipo di domanda di protezione viene trattato dalle autorità dei vari Paesi Ue, Italia compresa.
Da un lato, riconosce il rapporto, “l’Unione e gli stati europei hanno già compiuto alcuni passi concreti e positivi, come il riconoscimento dell’orientamento sessuale quale motivo di persecuzione nell’Articolo 10 della “Direttiva qualifiche“. Alcuni Stati membri hanno anche esplicitamente indicato l’identità di genere come motivo di persecuzione nelle rispettive legislazioni nazionali (Portogallo e Spagna) o in linee guida (Austria e Regno Unito)”. Ma dall’altro, esistono ancora “considerevoli differenze nel modo in cui gli stati europei esaminano le domande d’asilo di persone Lgbti”, e sotto vari aspetti “le prassi statali europee sono al di sotto degli standard richiesti dalla normativa internazionale ed europea sui diritti umani e sui rifugiati. Queste prassi dimostrano chiaramente che le autorità nazionali si basano, in molti casi, su stereotipi”.
I nodi critici e le storie
In particolare, la ricerca si è concentrata sul modus operandi dei vari Paesi dell’Unione per quanto riguarda otto “nodi critici”: la criminalizzazione delle persone Lgbti nei Paesi d’origine; il bisogno di protezione da persecuzioni non statuali (cioè da parte di parenti o da bande criminali); le pretese di occultamento dell’orientamento sessuale o dell’identità di genere; la protezione interna nel Paese d’origine; la credibilità delle testimonianze rilasciate dai richiedenti asilo; la rivelazione successiva della propria identità Lgbti; la carenza di informazioni sulla condizione delle persone Lgbti nei vari Paesi d’origine; infine, il rischio di comportamenti omo/transfobici nei centri di accoglienza o detenzione.
Corredano il rapporto Fleeing Omophobia una serie di dettagliate “raccomandazioni” e 12 sintetiche storie personali.
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