di Fredo Olivero
La Giornata mondiale del rifugiato ha un senso se serve a fare il punto della situazione, se è l’occasione per una riflessione critica su che cosa significa il fenomeno di rifugiati e richiedenti a livello mondiale come a livello locale.
Per quanto riguarda l’Italia, il 2011 ha visto 62.000 persone arrivare in Italia dal Nord Africa. Ma non sono stati arrivi indolori: nel corso dello stesso anno più di 2.000 persone sono morte nel Mediterraneo e più di 30.000 sono state rimpatriate. Dei 62.000 che sono arrivati circa 25.000 sono richiedenti asilo dalla Tunisia: di questi 4.500 hanno avuto un permesso temporaneo, mentre gli altri sono stati considerati presenze irregolari e, se fermati, sono transitati dai CIE e sono stati rimpatriati. Circa 25.000 sono state le persone in arrivo dalla Libia, un Paese che per loro ha rappresentato solo un transito dato che per la maggior parte si tratta di Nigeriani, Ghanesi, Maliani, Eritrei, Etiopi, Somali. Ivoriani. Per loro si è messo in piedi un circuito di accoglienza di tipo emergenziale gestito dalla Protezione Civile. Molte di queste persone attendono ancora l’esito della domanda di asilo politico, ma dalle richieste già esaminate risulta che i dinieghi a livello nazionale oscillano tra il 70% e l’80%.
Di fronte a questi arrivi l’attivazione di canali di accoglienza d’emergenza non è stata l’unica risposta che il nostro Paese ha messo in campo. L’altra parola d’ordine è stata quella della “sicurezza”, un concetto spesso malinteso e spesso declinato da una parte sola (e la sicurezza dei diritti? E la sicurezza di chi fugge da una guerra?) che ha portato a parcheggiare in strutture della Protezione Civile “sicure” (per chi?) i tanti richiedenti asilo giunti in Italia. Queste strutture sono di difficile gestione con una capienza che può oscillare tra i 50 posti ai 3.000 di Mineo, il terribile C.A.R.A. di Catania. Ed è lo stessa particolare idea di sicurezza che ha alimentato e alimenta la politica dei respingimenti nel Mediteraneo.
Il risultato è che oggi l’Italia è un Paese di rifugiati e richiedenti rifugio parcheggiati, incapace di forme nuove di tutela delle vittime (rifugiati, vittime di tratta, di rivolte sociali). E’ una democrazia debole, che non riconosce e gestisce “il nuovo”, abituata a dare ripetute risposte occasionali, emergenziali, senza avere un programma di interventi in rete, un Paese che si ritrova a dover chiedere “per favore” a pezzi della società civile di aprire un nuovo “parcheggio”, gestire una nuova struttura per fare fronte a una qualche emergenza, che emergenza non è più dato che i dati dell’UNHCR ci mostrano con chiarezza che il fenomeno dei rifugiati e richiedenti asilo è da considerarsi un fenomeno tristemente strutturale in questo mondo abitato da tanti conflitti e tante diseguaglianze sociali.
Per quanto riguarda il territorio piemontese per i rifugiati (e richiedenti rifugio) si sono costruiti negli anni tre/quattro interventi paralleli: quello dello SPRAR, quello dell’accoglienza della Città di Torino, quello del “Coordinamento Non solo asilo” e ora quello dell’emergenza della Protezione Civile. Il “Coordinamento Non solo asilo”, contrariamente a quanto mette in campo la Protezione Civile, è formato da una rete di associazioni e cooperative territoriali che lavorano insieme ed hanno fatto della sensibilizzazione, dell’inserimento lavorativo ed abitativo, della scolarizzazione, dell’informazione i punti forti del loro intervento a favore di rifugiati e richiedenti asilo. E’ evidente che un tipo di intervento di questo tipo ha bisogno di interloquire con le istituzioni locali che però, sebbene ripetutamente interpellate e sollecitate, negli ultimi 4 anni sono rimaste mute, rispondendo, nei fatti, che i diritti sono diventati una benevola “concessione” del governo locale. L’esempio del certificato di residenza, che a Torino e in Piemonte non è concesso ai rifugiati politici, è una chiara negazione dei diritti essenziali (quelli al lavoro, alla tutela giudiziaria, alla salute, all’istruzione, alla scuola ecc.) riconosciuti per i rifugiati politici dalla Convenzione di Ginevra del 1951, ratificata nel 1954 dallo stato italiano (Legge 722).
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