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Gli sbarchi (magari sotto i riflettori dei media), le “grandi fughe”, le contraddizioni di un sistema d’accoglienza che fa finta di non vedere. La testimonianza e lo sfogo di un medico palermitano: “Già, dopotutto, dopo i fatti di Roma e quelli in corso a Mineo è diventato quasi impossibile lucrare sulla loro presenza. Prima sì che si facevano più soldi che con la droga…”.

Sbarco_2015Metà di aprile 2015. Sbarco “record” a Palermo di 1200 persone, con il meccanismo di prima accoglienza che va in tilt. E due giovani sbarcati di pelle scura che svicolano tra i controlli, come molti altri…

Sotto una coperta alla Centrale

Quattro giorni dopo, di notte, dopo un passaggio al Pronto soccorso, accompagnano i due al reparto di Medicina interna del Policlinico cittadino. Li hanno trovati vicino alla Stazione Centrale, dove stavano per terra sotto una coperta da almeno tre giorni: hanno sul colpo le tracce di un viaggio e una traversata difficile, ma anche la scabbia e una sospetta varicella. I due giovani vengono visitati e rifocillati. Però fino all’arrivo di un mediatore linguistico eritreo non si riesce a comunicare, sembrano subire passivamente ciò che gli accade attorno. Poi la loro vicenda viene faticosamente a galla.

Per tre mesi sono rimasti in un hangar a Tripoli, in Libia, aspettando un imbarco con altre 1500 persone: uomini, donne, bambini in promiscuità. Riferiscono di essere stati picchiati e seviziati, di aver assistito a stupri, violenze e anche all’assassinio di alcuni compagni. Alla fine li hanno fatti partire.

A Palermo sono sfuggiti senza difficoltà al personale che doveva trasferirli in uno dei centri di accoglienza (Cas) nella provincia. E adesso uno dei due vuole solo raggiungere il prima possibile Roma per imbarcarsi per New York, dove è atteso dal fratello.

Una storia (quasi) come tante, forse troppe. Ne è stato testimone Mario Affronti, dirigente medico del reparto che ha accolto i due giovani al Policlinico ma anche presidente della Simm (Società italiana di medicina delle migrazioni) e referente regionale Migrantes per la Sicilia.

Dopo tutto quello che hanno passato, commenta Affronti, i due «alla fine sono stati fortunati ad essersela cavata con una scabbia e una varicella soltanto». Ma l’episodio fa riflettere.

“Non vedere non sentire non curare”

Mario Affronti, presidente della Simm.
Mario Affronti, presidente della Simm.

Quel 14 aprile, il giorno dello sbarco dei 1200, «il sistema di accoglienza al porto palermitano, malgrado la presenza delle varie autorità civili, militari e sanitarie con televisioni al seguito, è andato in tilt e ha mostrato tutti i suoi limiti – ragiona Affronti -. Il risultato è che già dalle prime luci dell’alba Palermo è stata invasa da un numero considerevole di sbarcati, soprattutto ragazzi, che cercavano in tutti i modi di scappare, per evitare di farsi identificare, verso le loro mete come il nostro paziente».

Quanto ai due giovani arrivati finiti poi al Policlinico, hanno deciso di “sistemarsi” alla Centrale, in attesa di stare un po’ meglio di come erano arrivati.

«Del resto, cosa temere? – commenta ancora il dottor Affronti – Erano degli invisibili soprattutto agli agenti di polizia. Si sa, le maglie dei controlli devono essere abbastanza larghe da poter permettere la fuga dei richiedenti asilo, minori compresi. Le statistiche ci dicono che due persone su tre che arrivano in Italia vanno via dal nostro Paese…. Nel frattempo si arrangino pure, vadano via al più presto anche con la varicella e la scabbia. Solo noi dobbiamo correre il rischio di venire contagiati? E poi, vogliamo veramente raggiungere e superare i numeri tedeschi e francesi in fatto di accoglienza di rifugiati (500 e 300 mila rispettivamente)? Gli attuali nostri quasi 50 mila ci creano già troppi problemi. Oltretutto dopo i fatti di Roma e quelli in corso a Mineo è diventato quasi impossibile lucrare sulla loro presenza. Prima sì che si facevano più soldi che con la droga…».

Leggi anche su Vie di fuga

Inchieste: “Tu ci hai idea di quanto guadagno con gli immigrati?”

Collegamento

Ne accogliamo un terzo…. E altre 5 utili precisazioni (da Redattore sociale, aprile 2015)

 

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