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Vaccino anti-COVID, respinti per un campo di codice fiscale

Negli hub della più grande campagna vaccinale della nostra storia spesso gli immigrati senza permesso di soggiorno vengono respinti, contro la legge, perché sulla piattaforma nazionale di registrazione affidata a Poste Italiane non si può inserire nel campo “codice fiscale” un codice alternativo come quello STP (“stranieri temporaneamente presenti”) o ENI (“europeo non iscritto”). La denuncia della SIMM e i dati sui rischi complessivi di esclusione nel nostro Paese.

 

Chi ha diritto alla vaccinazione anti-COVID in Italia? A febbraio  il sito dell’AIFA rispondeva così nelle sue FAQ sui vaccini: «Per effettuare la vaccinazione alle persone (italiane e straniere) in condizioni di fragilità sociale […] può essere accettato un qualsiasi documento (non necessariamente in corso di validità) che riporti l’identità della persona da vaccinare e/o tessera sanitaria – tessera TEAM (Tessera europea assistenza malattia) – Codice STP (Straniero temporaneamente presente) – Codice ENI (Europeo non iscritto). In mancanza di un qualsiasi documento verranno registrati i dati anagrafici dichiarati dalla persona e l’indicazione di una eventuale ente-struttura-associazione di riferimento». 

Ma in questi giorni la SIMM (Società italiana di medicina delle migrazioni) si è accorta che, forse a partire dall’ultimo aggiornamento di fine aprile, la risposta alla FAQ si è di colpo condensata in due righe stringatissime: hanno diritto a farsi vaccinare «tutte le persone residenti o stabilmente presenti sul territorio italiano, con o senza permesso di soggiorno, che rientrano nelle categorie periodicamente aggiornate dal Piano Vaccinale».

“Stabilmente”?

«Le parole “stabilmente presenti” – puntualizza Emanuela Petrona Baviera del Comitato redazionale SIMM – entrano evidentemente in contrasto con la sigla STP, sigla che include tutte le persone senza regolare permesso di soggiorno e che per lo più non hanno accesso al SSN se non per cure urgenti ed essenziali. I pazienti con codice STP ed ENI non hanno il medico di medicina generale, e questo li allontana dal programma assistenziale cui dovrebbero, come tutti, avere diritto. Eppure fra le cure urgenti ed essenziali secondo l’attuale normativa sono incluse, e con particolare riguardo, la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive».

Qui il riferimento normativo è il DLGS 286/98, articolo 35, comma 3: Ai cittadini stranieri presenti sul territorio nazionale, non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno, sono assicurate, nei presidi pubblici e accreditati, le cure ambulatoriali e ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, con particolare riguardo alla profilassi, alla diagnosi e alla cura delle malattie infettive.

Se un campo di codice fiscale vale più della legge

Ma che cosa avviene di fatto negli hub del Paese? «Attualmente le realtà locali con difficoltà cercano autonome soluzioni per finalizzare la prenotazione dei pazienti STP o ENI alla vaccinazione – spiega Petrona Baviera -. Queste soluzioni, quando “escogitate”, non sono state uniformate e pertanto persistono grandi differenze tra un’azienda sanitaria locale e un’altra, paradossalmente anche nello stesso territorio regionale, nonché tra province contigue. Ma anche quando, grazie all’ostinato contributo del terzo settore, in collaborazione con la sanità pubblica locale, si riesca a far accedere i pazienti STP o ENI ai centri hub di vaccinazione (spesso in assenza di mediazione culturale), il paziente viene spesso respinto senza essere vaccinato, dato che sulla piattaforma nazionale di registrazione dei vaccini, attualmente affidata a Poste Italiane, non è possibile (perché non previsto) inserire nel campo “codice fiscale” un codice alternativo come quello STP o ENI».

Risultato: la più grande campagna vaccinale della nostra storia rischia di escludere «una gran quantità di pazienti fragili, fragili per antonomasia, fragili proverbiali, fragili per identità sociale, culturale, clinica e psichica, fragili per ghettizzazione residenziale e abitativa e che, pertanto, sono spesso più a rischio di contrarre e trasmettere la malattia da SARS COV 2». E questo, naturalmente, finisce per mettere a rischio l’intero piano vaccinale, «in un momento in cui preservare la salute del singolo coincide con preservare la salute della comunità».

Una piattaforma da aggiornare. Adesso

La SIMM ha chiesto così che la piattaforma nazionale di registrazione dei vaccini venga subito corretta, in modo tale da permettere di default l’inclusione dei pazienti senza codice fiscale secondo le stesse sequenze di priorità clinica della popolazione italiana.

In seconda battuta la Società di medicina delle migrazioni chiede «indicazioni precise, nazionali, che guidino le sanità locali, giuste modalità e le scadenze temporali per adeguarsi in maniera tempestiva e uniforme su tutto il territorio». E infine, terzo, «che sia prevista tecnicamente una maggiore flessibilità riguardo alla residenza o alle documentazioni in possesso degli utenti, onde evitare che farragini burocratiche vanifichino la necessità di dare urgente risposta a questa istanza di salute pubblica globale e comunitaria».

Invisibili di casa nostra, i dati

Quante sono e chi sono in Italia le persone confinate nella “fragilità sociale” che rischiano di essere escluse dalla mobilitazione nazionale per i vaccini anti-COVID «per tutti e presto», in assenza iniziative e percorsi adeguati? Su Saluteinternazionale.it hanno provato a rispondere a fine marzo Salvatore Geraci e Alessandro Verona (entrambi fanno parte della SIMM ma anche, rispettivamente, di Caritas Roma e di Intersos). Si tratta di:

  • 500. 000 immigrati senza permesso di soggiorno;
  • 200.000 stranieri nel “limbo” ritardatario delle pratiche dell’ultima regolarizzazione;
  • 78.000 migranti in accoglienza («hanno diritto all’iscrizione al SSN, ma soprattutto nei CAS i percorsi amministrativi sono incerti e frammentati»);
  • «I minori stranieri non accompagnati, le persone vittime di tratta accolte in specifiche strutture, ed ancora molti rom, sinti e caminanti che vivono in campi di fortuna, e le decine di migliaia di stranieri ma anche italiani presenti in insediamenti informali, ghetti, palazzi occupati»;
  • Decine di migliaia di persone senza dimora, «fragili socialmente e spesso vulnerabili dal punto di vista sanitario».

Nel complesso, si tratta di «persone con livelli di esclusione diversi ma spesso invisibili all’amministrazione, perché i documenti non sono tracciabili, senza tessera sanitaria o questa scaduta per una residenza incerta, a volte difficili da raggiungere, con problemi comunicativi, con pregiudizi reciproci: sono un anello debole, ma per questo sono misura della nostra “volontà costituzionale” di tutelare ciascuno».

 

 

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