Terminato il lock-down, in Grecia le attività della procedura di asilo hanno ripreso a correre. Per via di un recente intervento legislativo, tuttavia, anche i destinatari di una decisione favorevole in merito alla domanda di protezione sono lasciati senza alcun tipo di ausilio economico o abitativo nell’arco di 30 giorni. Tra mille ostacoli non solo linguistici ed economici, ma che consistono anche in pressanti oneri burocratici e insidiose discriminazioni razziali, a queste persone è richiesto di badare a se stesse alla stregua di un qualunque cittadino greco.
di Pietro Derossi, luglio 2020, da Lesbo
Terminato il lock-down imposto ai cittadini greci, le attività del Servizio di Asilo Greco e dell’Ufficio Europeo per il Supporto all’Asilo (EASO) hanno ripreso a lavorare a pieno regime da metà giugno 2020, in seguito a una graduale riapertura iniziata il 18 maggio.
È stata al momento accantonata l’ipotesi di condurre da remoto le interviste per la valutazione delle domande di protezione internazionale (ossia senza la compresenza fisica di intervistatore, interprete e richiedente). Per scongiurare la trasmissione del virus tra richiedenti asilo e personale del servizio pubblico greco o dell’Unione Europea, si è optato per l’installazione di plexiglass di separazione tra intervistatore e intervistato e per un meccanismo di turnazione.
In base a questo, una settimana ogni due, i membri del personale di EASO redigono opinioni sul merito delle singole domande di asilo lavorando da casa, laddove prima si recavano comunque in ufficio a svolgere questa mansione, che non richiede di per sé un contatto con il migrante. Insomma, la macchina burocratica ha ripreso a macinare interviste e sfornare decisioni.
Dopo l’attesa il vuoto
Ad oggi è legittimo domandarsi se i “fortunati”, destinatari di una decisione favorevole e dunque del diritto di risiedere e lavorare in Grecia, festeggino o si disperino alla notizia. Una modifica legislativa del maggio 2020 ha accorciato da sei mesi a 30 giorni il termine per lasciare la sistemazione ricevuta, termine che decorre dalla notifica della decisione.
In termini pratici, questo ha comportato, a partire da giugno 2020, l’inizio di una spedita attività di sgombero o sfratto di migliaia di persone residenti nel campo profughi (in tende o container) o in appartamenti messi a disposizione delle persone più vulnerabili.
Ad aggravare la situazione vi è il fatto che, per medesima modifica legislativa, si è anticipata da sei mesi a 30 giorni dalla decisione pure la fine dell’assistenza economica “cash” di cui beneficiano tutti i richiedenti asilo.
La sistemazione in alloggi delle persone più vulnerabili, nonché l’assistenza economica nei confronti di tutti i richiedenti asilo, costituiscono gli elementi portanti di un programma chiamato ESTIA (Emergency Support to Integration and Accomodation), gestito dall’UNHCR con fondi europei.
In una lettera firmata da 61 ONG operanti in Grecia e indirizzata al ministro dell’Immigrazione e dell’Asilo ellenico e alle competenti autorità europee, si afferma che le nuove misure restrittive causano una severa indigenza e l’abbandono in strada di migliaia di persone. Da questa stretta non saranno esentate persone con gravi problemi di salute fisica o mentale, genitori soli con figli a carico e altre categorie considerate a rischio.
Medici senza Frontiere, confermando le crescenti preoccupazioni del mondo associativo, in un articolo di pochi giorni fa denuncia la presenza di centinaia di persone che dormono da giorni o settimane in piazza Vittoria ad Atene. Tra queste si documenta la presenza di donne in stato di gravidanza avanzato, persone affette da tumore, madri sole e con malattie croniche e superstiti di torture. Una donna con diabete e malattie vascolari, costretta a lasciare l’abitazione e a ricongiungersi con il figlio residente in un container con altre 12 persone, è morta due giorni dopo lo sfratto. Il ministro sta mantenendo la promessa di giugno di ridurre del 30% la spesa dei programmi di alloggiamento (finanziati dall’UE). Non ci si sorprenderebbe se la pandemia da COVID lo ringraziasse presto.
Miraggio Helios
La recente misura interviene a peggiorare una politica di integrazione già claudicante per i suoi contenuti, per la sua realizzazione concreta e per gli oneri burocratici che ne ostacolano l’accesso. Il programma pubblico in questione è soprannominato HELIOS (Hellenic Integration Support for Beneficiaries of International Protection). Il programma è gestito dall’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) in collaborazione con le autorità elleniche. In teoria prevederebbe, per tutti i beneficiari di protezione internazionale, l’offerta di corsi per l’integrazione, contributi economici per l’alloggio e supporto nella ricerca di un lavoro.
In un “mondo perfetto”, un graduale e sereno passaggio dal programma di assistenza ESTIA – ideato per richiedenti asilo – al programma di assistenza HELIOS – pensato per chi ha ottenuto decisione favorevole ed è a questo punto beneficiario di protezione internazionale – favorirebbe l’integrazione e preverrebbe fenomeni di miseria e abbandono alla strada di chi fugge dalla guerra o dalla persecuzione.
In Grecia la possibilità di beneficiare di HELIOS è invece gravemente pregiudicata dalle condizioni di accesso, che rendono il supporto all’integrazione prerogativa di chi possiede già un alto livello di autosufficienza e indipendenza.
Se per partecipare a corsi di lingua greca ed altri corsi volti all’integrazione è sufficiente firmare una dichiarazione di partecipazione, è invece assai più complesso beneficiare dei sussidi offerti per l’affitto.
Nel dettaglio, si richiede alla persona di fornire un regolare contratto di locazione e di disporre di un conto bancario, che a sua volta può essere aperto solo con un numero di registrazione fiscale. Incombenze semplici da assolvere per un cittadino greco o europeo, ma non per lo straniero beneficiario di protezione internazionale.
Per ottenere un regolare contratto di affitto, il programma prevede un servizio di supporto nella ricerca, tramite facilitazione nel contatto con proprietari di immobili e un servizio di interpretariato e traduzione. Resta il fatto che, a causa di impulsi xenofobici o razzisti, o per semplice diffidenza nei confronti di chi è in grado di pagare l’affitto solo grazie a sussidi con scadenza temporale da sei a 12 mesi, per un cittadino extracomunitario può risultare estremamente difficile trovare chi sia disposto ad affittargli regolarmente una stanza o un alloggio.
Peraltro, è noto come il mercato delle locazioni di affitti brevi o di alloggi a basso costo, in Italia come in Grecia, rimanga in gran parte sommerso per volontà dei proprietari di sfuggire ad oneri fiscali e burocratici.
Inoltre, per aprire un conto bancario, ultima condizione all’accesso al sussidio abitativo, è necessario un contratto di lavoro (o una dichiarazione del proprio datore di lavoro), nonché un numero di registrazione fiscale (AFM), che è anche conditio sine qua non per lavorare regolarmente.
Per ottenere questo numero la persona con status di protezione internazionale deve esibire il proprio permesso di soggiorno e una prova del proprio indirizzo. Su cosa si intenda per “prova” le opinioni dei singoli uffici pubblici fiscali divergono, ma difficilmente è accettata un’autocertificazione, soprattutto se la richiesta della registrazione proviene da cittadino extracomunitario.
Si pretende ad esempio una bolletta con nome dell’intestatario e indirizzo, un contratto di affitto o una dichiarazione solenne rilasciata dal proprietario di casa. Ma se la persona dispone di un’abitazione, perché tentare di avvalersi di un programma di supporto all’alloggio?
E ancora, se per avvalersi di questo ausilio economico è di fatto necessario un lavoro (senza il quale non si apre un conto bancario), perché con un’occupazione regolare si dovrebbe aver bisogno del denaro di HELIOS? Il nome del programma ricorda un miraggio.
Con queste premesse si intuisce perché, dal 2018 a oggi, delle 26.269 persone che avrebbero potuto avvalersi di qualche tipo di servizio di assistenza all’integrazione che fa parte di HELIOS solo 13.600 (circa la metà) lo hanno fatto. E di questa metà, meno del 12% è riuscito a ricevere un sussidio per la casa.
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