Sotto il titolo “Dialogo sull’accoglienza”, in uno degli incontri più importanti del festival organizzato dalla Pastorale migranti di Torino si sono confrontati Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, e mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara, presidente della commissione Migrazioni della CEI e della Fondazione Migrantes.
Prima di tutto emozione. E poi intelligenza. Bisogna partire da qui per capire che cosa significa veramente “accoglienza”, una parola che oggi rischia di essere ridotta all’etichetta di un sistema istituzionale, buona per innescare polemiche e, sulle polemiche, paura. Questo il (provvisorio) bilancio tracciato ieri a Torino in uno degli incontri più importanti del festival “E mi avete accolto”, organizzato dalla Pastorale migranti della Diocesi subalpina. Sotto il titolo “Dialogo sull’accoglienza” si sono confrontati Gustavo Zagrebelsky, presidente emerito della Corte costituzionale, e mons. Gian Carlo Perego, arcivescovo di Ferrara, presidente della commissione Migrazioni della CEI e della Fondazione Migrantes.
Se le priorità “sono altre”
Citando il vangelo di Matteo e gli Atti, mons. Perego ricorda che, alla radice, la persona accogliente è quella che, senza chiudersi in se stessa, è in relazione con una comunità. «Accoglienza è una parola sociale. Ma anche una parola intelligente e razionale: chi accoglie lo fa perché ha capito cose importanti per la sua vita sociale… e anche per la vita futura».
«È strano – ragiona Zagrebelsky – : se, magari da un ponte, si vede qualcuno che sta per annegare ma viene salvato e portato a riva, si prorompe in un applauso. Anche al largo delle nostre coste, ieri, oggi, vediamo persone che rischiano la vita. Ma quando vengono salvate e sbarcano, invece degli applausi arrivano le polemiche. C’è qualcosa che non va. Certo, a differenza di chi viene salvato dal fiume, per i migranti la cosa “non finisce lì”… Come aprirsi a chi ha la necessità di salvarsi? I valori devono essere alimentati dalla scuola, certamente, ma anche dalla politica. L’esperimento di Riace, lo ius soli, di che cosa parlano? Però anche le forze politiche più favorevoli finiscono per dire che per il momento “le priorità sono altre”… Pensano di perdere consenso e voti. È una politica cieca: i voti, quelli che erano i loro voti, li perderanno comunque. Il fatto è che stiamo perdendo, prima di tutto, un atteggiamento emozionale: oggi vediamo il mondo in presa diretta, ci siamo assuefatti anche agli eventi più devastanti… Ma abbiamo bisogno anche di risorse intellettive, della capacità di parlare di accoglienza come parte della cultura politica di un Paese».
Un mondo occupato
«Con le migrazioni siamo di fronte a un fenomeno ineluttabile – prosegue Zagrebelsky -. La politica, anche con un linguaggio adatto a tempi, deve far capire che non ci salverà la difesa dei “patri confini”, un concetto ottocentesco. Oggi il mondo è tutto occupato politicamente, non esiste più un “West” dove fuggire. Oggi chi è scacciato dalle guerre, dal cambiamento climatico non sa dove trovare scampo. Mentre un miliardo di persone, dice una ricerca dell’ONU, vive in “non luoghi”: slum, campi, “luoghi di raccolta”, come li chiamano. Un miliardo, perché non ci sono solo i rifugiati e gli emigrati all’estero, ma anche i migranti interni».
Vedere, andare incontro…
Sollecitato invece da una domanda della moderatrice Angela La Rotella, Gian Carlo Perego ricorda la costituzione Gaudium et spes del 1965 e sottolinea: «La Chiesa è fatta di uomini in cammino. Per capire non possiamo fermarci sulle nostre certezze». Poi riprende un episodio di Genesi 18, quello di Abramo e dei tre ospiti alle Querce di Mamre. La storia di un incontro, per chi crede e non solo.
«La prima cosa è stare alla porta a vedere – osserva il vescovo di Ferrara -. Ma noi non stiamo alla porta del Mediterraneo a vedere chi arriva, nonostante tutti i mezzi che abbiamo per individuare tutto ciò che si muove in mare. Poi, Abramo va incontro. Ma noi da quando abbiamo chiuso l’operazione Mare Nostrum non lo facciamo più, lo fa solo qualche nave. Poi Abramo si prostra, si china davanti ai tre ospiti. E, quarta parola chiave, li prega di fermarsi da lui. Seguirà l’altra faccia della medaglia, il riso di Sara (incredula alla promessa di un figlio, ndr). Però alla fine Abramo creerà…».
Mission impossible
«Il problema è governare l’accoglienza – continua Perego -, ancora oggi non siamo capaci di farlo»: dalla legge “Bossi-Fini” tutta sbilanciata sulla “sicurezza” al sistema dei CAS senza un progetto, dai decreti “Salvini” all’ultima regolarizzazione: «Ma come è possibile che abbiano esaminato così poche pratiche», con appena 60 mila permessi rilasciati dopo un anno su 230 mila domande presentate?
Cronache di un’Italia che nel 2020 ha visto 750 mila decessi e appena 400 mila nascite, ed è tornata a essere un Paese di emigrazione. «Il nostro futuro è nelle mani dei migranti. Ma per governare la migrazione c’è bisogno di intelligenza».
Quella che, con la legge 47/2017, ha almeno permesso che un sindaco non si trovi ad essere “tutore” di 800 minori non accompagnati. O anche solo, più in piccolo, come ricorda Perego, quella che a Roma ha liberato una badante moldava dalla mission impossible di dover accompagnare ogni mattina la figlia di otto anni all’altro capo della metropoli, nell’unica scuola (sulle 22 in cui aveva fatto domanda) dove aveva trovato posto seguendo l’iter “normale”. Anche se c’è stato bisogno dell’aiuto dei carabinieri.
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