La recente Comunicazione congiunta della Commissione e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE, il Memorandum Italia-Libia firmato il 2 febbraio e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta hanno delineato un progetto di chiusura della “rotta” del Mediterraneo centrale che rischia di seppellire, di fatto, il diritto d’asilo nel Paese e ai suoi confini. *** Aggiornamento 6 febbraio*** Migrantes: “Ai lati del nuovo ‘muro’ potrebbero spostarsi e aprirsi nuove rotte”.
Si possono usare le perifrasi diplomatiche, come nella dichiarazione finale di venerdì alla Valletta: «Siamo determinati a prendere ulteriori misure per ridurre in maniera significativa i flussi migratori lungo la rotta del Mediterraneo centrale e smantellare il modello di attività dei trafficanti». O si può essere può spicci come, il giorno prima, il presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk: «È arrivato il momento di chiudere la rotta dalla Libia».
Il progetto sta prendendo corpo. Provando a fare un po’ d’ordine fra gli ultimi documenti ufficiali ci troviamo ad allineare: la Comunicazione congiunta della Commissione Juncker e dell’Alto rappresentante per la politica estera dell’UE Mogherini dello scorso 25 gennaio (qui il comunicato); il Memorandum Italia-“Governo di riconciliazione nazionale dello Stato di Libia” firmato il 2 febbraio a Roma dai premier Paolo Gentiloni e Fayez al-Sarraj; e la Dichiarazione uscita dal Consiglio europeo di venerdì 3 alla Valletta, con un elenco di 10 «priorità».
Ne emerge, da una parte, un obiettivo fin troppo esplicito: dopo la chiusura del confine greco-turco nel 2016, frontiera sbarrata anche sulla “rotta” del Mediterraneo centrale, perché migranti e rifugiati (ma attenzione, sia il Memorandum che la Dichiarazione evitano accuratamente i termini rifugiato, protezione, asilo…) devono essere “accolti” in Libia, anzi, possibilmente devono essere tenuti fuori dai confini meridionali libici, o rimpatriati, Dall’altra, l’accento dichiarato su concetti come «diritti umani», «cooperazione»,«sviluppo».
Respingimenti per delega
Concetti, questi ultimi, che non sono bastati a convincere nessuna delle più autorevoli ONG impegnate nel settore,da Medici senza frontiere (Msf) al CIR, da Save the Children all’ASGI, da Amnesty al Centro Astalli, che hanno commentato gli sviluppi degli ultimi giorni con durezza e, ancora una volta, hanno riproposto alcune alternative che sembrano semi-ignote all’UE e all’Italia.
Tra Bruxelles, Roma (con un ruolo da protagonista), La Valletta e Tripoli sta prendendo corpo un piano che, tra l’altro, vedrebbe riportati sulle costa africana i migranti e i rifugiati intercettati dalla Guardia costiera libica nelle sue acque territoriali: «sbarchi sicuri», li chiama la Comunicazione congiunta della Commissione UE.
Ma questa pratica, avverte il CIR, «consentirebbe di travestire i respingimenti in Libia realizzati dall’Italia nel periodo 2009- 2010 in acque internazionali, per i quali il nostro Paese è stato duramente condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nella sentenza “Hirsi e altri c. Italia“. L’attore diretto non sarebbe più una forza navale di uno Stato Europeo, bensì le forze libiche pilotate dall’Unione attraverso l’invio di denaro, di mezzi e di formazione. Questa operazione “per delega” non cambierebbe però il risultato: la violazione del principio di non refoulement che prevede l’impossibilità di respingere i rifugiati verso territori in cui la loro vita o libertà sarebbero minacciate».
Ambasciata Niger chiama Berlino…
Senza contare il quadro raccapricciante dell'”accoglienza” che la Libia, ancora frantumata tra milizie e signorie locali, è in grado di offrire a rifugiati e migranti e che gli operatori di Msf hanno denunciato alla fine del 2016.
Sull’argomento si è aggiunta qualche giorno fa una voce non certo sospetta, quella dell’ambasciata tedesca in Niger, che in un dispaccio ha informato Berlino sulla situazione, sempre in Libia, dei centri di detenzione privati per rifugiati e migranti: «Condizioni simili a quelle dei Lager… esecuzioni, tortura, stupri, corruzione e respingimenti nel deserto sono fatti all’ordine del giorno».
A fine gennaio il generale Ayoub Omar Qassem, portavoce della Marina libica che pure risponde al Consiglio presidenziale di Fayez Al Sarraj, protestava non si sa quanto sommessamente contro l’idea che la Libia possa essere considerata «gendarme dell’Europa nel Mediterraneo». Ecco, qualunque cosa intendesse non gli si può dare tutti i torti.
***Aggiornamento 6 2 2017*** Migrantes: “Ai lati del nuovo ‘muro’, nuove rotte?”
Il Memorandum italo-libico «di fatto crea un muro alla partenza dei migranti dalla Libia all’Europa». Ma concretamente «potrebbe spostare il traffico di esseri umani da Tripoli a Bengasi, in un contesto che è governato da altre forze politiche», e su «nuove rotte ancora più pericolose». È il preoccupante scenario che mons. Gian Carlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ipotizza alla luce dei fatti degli ultimi giorni.
Perego tuttavia si augura che l’accordo possa ancora essere rivisto, «prevedendo ciò che è veramente necessario oggi: vie legali d’ingresso nel continente europeo, rafforzamento della tutela da subito, rimpatrio assistito e, al tempo stesso, quel “Piano Marshall” annunciato più volte che possa portare a condizioni accettabili di vita sociale, educativa, scolastica e sanitaria nei Paesi di partenza, oltre alla cessazione di quelle guerre che, in diversi Paesi africani, costringono alla fuga milioni di persone».
Collegamenti
In principio fu il vertice UE-Africa (il summit della Valletta dell’11-12 novembre 2015)
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