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Rifugiati apicoltori in quel di Alessandria

Bee my job - Apicoltori si diventa. Foto gentilmente concessa da APSCambalache
Bee my job – Apicoltori si diventa. Foto gentilmente concessa da APSCambalache

Ad Alessandria negli anni della crisi, dove trovare lavoro sembra quasi un miracolo, soprattutto se si è stranieri, nasce un progetto che unisce ambiente, rifugiati, richiedenti asilo e lavoro. Promotrice del progetto è l’Associazione Cambalache e il titolo del progetto, che gioca con l’inglese, non lascia spazio a dubbi: “Bee my job”.

Vie di Fuga ha intervistato Mara Alacqua, presidente dell’APS Cambalache, per comprendere meglio genesi, vita e finalità del progetto.

1- Partiamo dalla genesi del progetto. Come è nata l’idea di proporre a dei rifugiati un corso di formazione in ambito apistico?

Siamo un’associazione di promozione sociale che si occupa di accoglienza tramite Convenzioni temporanee con la Prefettura di Alessandria, nell’ambito di Mare Nostrum.

Sebbene la durata del nostro progetto venga periodicamente ridiscussa, abbiamo deciso di investire sin da subito sul futuro, creando opportunità concrete di emancipazione socio economica per i nostri ospiti. La dignità di una persona è basata in primo luogo sulla possibilità di accesso a un lavoro degno. Dal lavoro ne conseguono emancipazione economica e sociale e, dunque, integrazione. Partendo da questi presupposti, abbiamo fatto una ricerca per identificare i settori in attivo con richiesta di manodopera – con una particolare attenzione all’agricoltura.

Vogliamo dare una possibilità di riscatto sociale al mondo agricolo, che troppo spesso è scenario di sfruttamento di braccianti stranieri. Lanciare un segnale di accoglienza che arrivi dalla terra: un’apertura all’integrazione di nuovi cittadini che faccia riflettere su come i migranti possano essere una risorsa per i nostri territori e le nostre aziende. Contattando varie realtà apistiche nazionali, abbiamo trovato nell’apicoltura l’opportunità che cercavamo. La richiesta di manodopera è attiva e la durata della stagione apistica è di più estesa rispetto alle stagioni legate al raccolto di frutta e verdura.

Volevamo offrire ai nostri ospiti delle competenze spendibili in tutta Italia e all’estero…perchè no, anche nei loro Paesi d’origine. Non solo, gli investimenti per l’avvio di un’attività apistica sono contenuti e chissà che la seconda edizione del progetto non veda l’attivazione di una start up!

2- Quale riscontro c’è stato fra i rifugiati? E’ stata una proposta che ha trovato consenso? 

In molti hanno aderito con entusiasmo al progetto! Il corso era previsto per 10 persone e abbiamo dovuto estenderlo a un totale di 18 richiedenti asilo e titolari di protezione. Hanno partecipato anche ospiti di altre realtà dell’accoglienza alessandrina. Si sono avvicinati al corso con l’idea di acquisire competenze utili alla ricerca di un lavoro, poi si sono appassionati al mondo delle api! Hanno seguito tutte le lezioni con costanza e impegno, prendendo appunti, disegnando per ricordare meglio i nomi degli attrezzi, intervenendo con domande specifiche sul mestiere e sul mondo delle api. Alle visite in apiario, tutti si sono messi in gioco!

3- Dalla teoria alla pratica: quali risorse sul territorio alessandrino la vostra associazione ha attivato per permettere ai beneficiari del corso di cimentarsi nel ruolo dell’apicoltore? 

Abbiamo presentato il progetto al Bando della Fondazione SociAL, insieme a una rete di 13 partner – con molti dei quali era già stato firmato un protocollo d’intesa per la creazione della Rete di Accoglienza di Alessandria. I 13 soggetti che costituiscono la rete sono chiamati a mettere in campo le proprie competenze specifiche derivanti dalla loro natura giuridica ed esperienza pregressa. Il progetto porta i soggetti alla condivisione di conoscenze, provenienti da ambiti diversi come il sociale e l’apicoltura, attraverso la partecipazione attiva e costruttiva di ognuno di essi, singolarmente e in rete, alla realizzazione di azioni che, a diversi livelli, portano al raggiungimento di un obiettivo condiviso.

Al di là all’impatto reale sui beneficiari diretti, il valore aggiunto di “Bee my job” risiede nella sua capacità di valorizzare il lavoro di prossimità per rispondere ai bisogni del territorio, ora identificati nell’inserimento lavorativo dei RA/TPI, in modo coordinato e innovativo, ottimizzando risorse materiali e immateriali. Ne deriveranno un consolidamento e ampliamento del lavoro della Rete di Accoglienza e dei tavoli di coordinamento locali, così come una maggior conoscenza delle potenzialità di sviluppo in settori economici non tradizionali e dei nuovi processi sociali.

Bee my job - Apicoltori si diventa. Foto gentilmente concessa da APSCambalache
Bee my job – Apicoltori si diventa. Foto gentilmente concessa da APSCambalache

4- Potresti darci la tua definizione di Bee My Job?

Bee My Job è volto a promuovere l’inserimento lavorativo dei RA/TPI in uscita dall’accoglienza permette di incrementare le loro possibilità di emancipazione economica e quindi di risposta autonoma al bisogno abitativo, prevenendo il disagio sociale che l’assenza di questi fattori comporta in primo luogo per gli enti locali.

“Bee my job” intende creare, in forma sperimentale e su un n. ridotto di beneficiari, opportunità concrete di inserimento lavorativo in apicoltura, settore agricolo in attivo e con richiesta di manodopera, attraverso la formazione professionale e misure di sostegno all’attivazione di  tirocini in aziende apistiche.  In risposta all’ulteriore bisogno di integrazione sociale, si genereranno occasioni di incontro con i giovani e la cittadinanza attraverso il loro coinvolgimento diretto in attività di apididattica. Affinchè l’esperienza pilota possa essere replicata ed estesa, rispondendo al bisogno di un numero maggiore di utenti, la stessa verrà monitorata, protocollata e messa in rete.

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