Secondo il Global Migration Data Analysis Centre dell’OIM, fra gennaio e giugno di quest’anno ha perso la vita un rifugiato/migrante su 24 che hanno tentato la sorte nelle acque del Mediterraneo centrale per raggiungere l’Europa. Questa “rotta” si è confermata come la più letale al mondo, e con dati in peggioramento: una tendenza sottolineata anche da un nuovo monitoraggio UNHCR.
Una vittima ogni 24 rifugiati e migranti: la si è registrata fra morti e dispersi, da gennaio a giugno di quest’anno, nel settore del Mediterraneo centrale fra le persone che tentano di raggiungere l’Italia via mare affidandosi a scafisti e trafficanti. Nel settore del Mediterraneo orientale, invece, nello stesso periodo si è registrata “solo” una vittima ogni 400 persone che tentavano la traversata.
Secondo un’analisi del Global Migration Data Analysis Centre dell’OIM pubblicata nei giorni scorsi, il Mediterraneo, e in particolare il Mediterraneo centrale, si conferma come la frontiera più letale del mondo, con una tendenza al peggioramento.
Nel primo semestre di quest’anno infatti vi hanno perso la vita o sono rimasti dispersi 2.901 fra migranti e rifugiati, il 37% in più rispetto al primo semestre 2015. Questa cifra di 2.901 vittime forma quasi l’80% del totale delle vittime a livello globale (3.700) sulle rotte di mare e di terra nel periodo. Nello stesso semestre del 2015 la percentuale era pari al 60%.
All’epicentro di un disastro umanitario
Sempre a livello globale, le vittime delle rotte migratorie sono aumentate del 23% rispetto al primo semestre 2015 e addirittura del 52% rispetto allo stesso periodo del 2014.
«Questa drammatica variazione – osserva il Global Migration Data Analysis Centre – può essere attribuita al numero più elevato di incidenti mortali registrati nel Mediterraneo, in Nord Africa, in Medio Oriente e nel Corno d’Africa».
Quanto al solo Mediterraneo centrale, il primo semestre 2016 ha visto 2.484 morti e dispersi, contro i 1.786 e i 703 registrati nello stesso periodo rispettivamente del 2015 e 2014.
Strategie di naufragio
«L’alta incidenza di morti nel Mediterraneo centrale in rapporto alle altre rotte è dovuto a due fattori principali: i tragitti via mare notevolmente più lunghi e le strategie di traffico più pericolose».
Spiega ancora l’Analysis Centre dell’OIM: «I battelli adoperati nel Mediterraneo centrale sono significativamente più grandi di quelli adoperati sulla rotta orientale»: grandi gommoni stipati fino a 130 persone e battelli in legno con 300-700 persone, contro gommoni o battelli con non più di 20-35 rifugiati e migranti a bordo.
Inoltre, in aggiunta al fatto che dal 2014 non è variata la pratica di mandare al largo nel Canale di Sicilia barche e barconi praticamente non in grado di tenere il mare, negli ultimi sei mesi si sono fatte più frequenti le partenze simultanee dalle coste libiche, «un fattore che complica le operazioni di ricerca e salvataggio». Mentre è particolarmente rischiosa la “nuova” sotto-rotta dall’Egitto: qui «il viaggio è ancora più lungo e le operazioni di soccorso si svolgono presso a grande distanza da terra».
UNHCR, le ultime stime
Anche l’UNHCR ha pubblicato ieri un aggiornamento sulle vittime nel Mediterraneo da gennaio a tutto l’agosto appena concluso. Nel solo Mediterraneo centrale risulta che nel periodo hanno perso la vita 2.734 rifugiati e migranti sui 115.072 soccorsi e sbarcati: uno su 42. Gli ultimi mesi estivi infatti hanno visto le vittime in diminuzione. Ma in tutto il 2015 sempre nel solo Mediterraneo centrale si era registrata una vittima ogni 52 arrivi.
L’Alto commissariato ONU specifica che queste cifre, elaborate sulla base di varie fonti, devono essere considerate «stime prudenziali», cioè potenzialmente in difetto.
Allegati
Dangerous journeys (Global Migration Data Analysis Centre-OIM, agosto 2016, in inglese, file .pdf)
Dead and missing at sea (UNHCR, settembre 2016, in inglese, file .pdf)
Collegamento
Il servizio Missing Migrants dell’OIM
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