La lotta per i diritti dei rifugiati non conosce confini. A dimostrarlo è la velocità con cui si espandono le proteste in tutta Europa a sostegno dei richiedenti asilo. Uno degli esempi più eclatanti di questa nuova ondata di manifestazioni è senza dubbio il Refugee Protest Camp di Vienna. Attraverso questa iniziativa vengono contestate la gestione attuale dei confini e le politiche di immigrazione europee che, se pur molto diverse da Sato a Stato, hanno quasi tutte in comune una cattiva organizzazione di fondo che poco tiene conto delle difficoltà e dei bisogni dei richiedenti asilo.
Le origini
Il movimento austriaco ha inizio il 24 novembre 2012, quando un gruppo consistente di richiedenti asilo organizza una marcia di protesta con partenza dall’isolato campo governativo in cui vengono accolti i rifugiati fino al centro di Vienna, dove allestiscono il loro campo, nel Sigmund Freud Park. Chiedono che venga rispettato il loro diritto di lavorare, di studiare, di rimanere in Austria per ricostruirsi un futuro e che venga garantito loro un supporto legale efficiente. Il campo è autofinanziato e si basa sul principio di democrazia partecipativa, solidarietà ed aiuto reciproco.
Il giorno di Natale la svolta. Gli occupanti del campo decidono di indire uno sciopero della fame per ottenere maggior visibilità e risposte più concrete dagli enti governativi. Data significativa è quella del 25 dicembre, giorno in cui Giuseppe e Maria, nella tradizione cristiana, chiedono e ottengono rifugio a Betlemme. Questo gesto disperato, però, non ottiene nessuno degli effetti sperati. I governanti non solo non prendono impegni concreti per migliorare le condizioni dei rifugiati in Austria, ma smantellano il Refugee Protest Camp con l’aiuto delle forze dell’ordine. La polizia, inoltre, identifica e scheda tutti i partecipanti alla protesta, e alcuni di loro vengono addirittura arrestati perché senza residenza.
Gli sviluppi
La lotta prosegue ugualmente e continuano le manifestazioni di protesta. E’ sempre più numerosa la solidarietà che arriva da tutta Europa, non solo da parte di altri rifugiati, ma anche da migranti, operatori sociali e gente comune. In questo modo, la protesta allarga i suoi confini e le richieste si estendono alla situazione dei rifugiati in Europa, non solo più in Austria. Uno dei punti cardine è certamente la revisione del Regolamento di Dublino e il blocco delle deportazioni e dei rimpatri a causa di esso.
A marzo il Refugee Protest Camp torna in piena attività, grazie all’accoglienza presso un monastero (Former Servite Monastery) da parte del cardinale Schönborn. Si tratta di una svolta importante. Il monastero è un luogo più sicuro, un rifugio migliore dove poter ricostruire, anche se in minima parte, la propria identità e ritrovare la propria strada. Nella nuova sistemazione i rifugiati ottengono l’assistenza legale e sociale di cui erano in precedenza sprovvisti, si organizzano corsi di tedesco, eventi culturali ed altre attività utili ad attuare percorsi base di integrazione. Tutto ciò è reso possibile grazie all’impegno dell’Arcidiocesi, della Caritas e di numerose ONG austriache. Questa sistemazione, tuttavia, viene concessa solo fino alla fine di giugno e successivamente estesa fino ad ottobre 2013, sempre sotto la supervisione della Caritas e sotto la protezione simbolica del cardinale.
Ultime notizie
In questi mesi, dei 60 richiedenti asilo accolti nel monastero, 20 hanno ricevuto un esito negativo della loro domanda. Sono perciò iniziati i rimpatri. Il cardinale Schönborn ha tentato di intercedere con le autorità per trovare alternative valide alla deportazione, ma senza successo. 8 sono stati rimpatriati, tutti Pakistani, e 4 sono stati arrestati con l’accusa di aver preso parte al traffico illegale di persone con l’aiuto di associazioni criminali. Alcuni ritengono che si tratti di un tentativo del governoper costruire un immagine negativa dei rifugiati, alimentando nell’opinione pubblica sentimenti ostili nei loro confronti, per mettere a tacere le proteste e non concedere quanto chiesto. La situazione sembra, perciò, molto complicata ed ancora ben lontana dall’essere risolta. Tuttavia, nonostante le enormi ostilità dimostrate dalle autorità e le continue pressioni sui rifugiati, nessuno di loro ha intenzione di arrendersi ed abbandonare la lotta. Le manifestazioni sono sempre più numerose, anche di fronte alla sede del Ministero dell’Interno e all’ambasciata pakistana in Austria. E proseguono anche le centinaia di altre proteste in tutta Europa, da Berlino ad Amsterdam. Staremo a vedere; come dice il motto del Refugee Protest Camp: We will rise, noi risorgeremo.
FONTI:
http://refugeecampvienna.noblogs.org (Il blog del Refugee Protest Camp, sempre aggiornato)
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