Il 90% dei richiedenti asilo non riesce a raggiungere l’Europa in modo regolare a causa del regime dei visti e dei controlli alle frontiere. Ma secondo un rete di organismi di cui fanno parte il Cir e l’Ecre, si può migliorare questa situazione con una strategia di adeguamento normativo e di sensibilizzazione in 4 “passi”.
“Si stima che circa il 90% di tutti i richiedenti asilo che entrano in Europa vi facciano ingresso in una modalità irregolare. Le misure introdotte nell’ambito del regime dei visti e delle frontiere dell’Unione Europea hanno reso sempre più difficoltoso l’esercizio del diritto all’asilo ai sensi della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, rendendo praticamente impossibile per la maggior parte dei richiedenti protezione raggiungere i territori dell’Ue regolarmente. La maggior parte delle persone che cercano di raggiungere l’Europa sono generalmente soggette a gravi violazioni dei diritti umani e sfruttamento durante il percorso e in particolare nei Paesi di transito e in altri territori, come ad esempio l’alto mare, considerato di fatto res nullius”.
Con questa situazione inquietante, paradossale (e spesso tragica) si sta confrontando, nell’ambito di un progetto di sensibilizzazione e ricerca co-finanziato dall’Ue (Fondo europeo rifugiati-Fer 2009), una rete internazionale di organismi che vede come capofila il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati) e fra i suoi membri l’Ecre (European Council on Refugees and Exiles).
Nei giorni scorsi sempre nell’ambito del progetto, dal titolo “Exploring new forms of access to asylum procedures (ET-Entering the Territory)”, è stato presentato a Roma un rapporto sulle cosiddette “forme complementari” di accesso all’asilo e alla protezione. Il documento rivolge alle istituzioni dell’Ue e ai governi dei Paesi membri una serie di raccomandazioni scandite in quattro “step”: si tratta di raccomandazioni motivate giuridicamente, ma che si rifanno anche a esperienze già attuate in territorio europeo e al criterio della “gradualità” (per tener conto, con realismo, di un’opinione pubblica e soprattutto di numerosi politici europei non esattamente favorevoli ai flussi migratori).
Piccoli numeri, fino ad oggi
Possono essere distinte cinque modalità di ingressi regolari, gestiti e ordinati di persone alla ricerca di protezione internazionale: l’asilo diplomatico, il reinsediamento, le operazioni di evacuazione umanitaria, l’uso flessibile del regime dei visti e le procedure di ingresso protetto. In vari Paesi “una o più di queste modalità sono state attuate in passato o, in alcuni casi, sono tuttora presenti. Tuttavia il numero totale delle persone che hanno avuto o che tuttora beneficiano di questi schemi è estremamente basso” (vedi la Scheda allegata).
L’obiettivo generale: flussi più regolari e ordinati, a vantaggio di tutti
“Allargare gradualmente le possibilità per le persone bisognose di protezione internazionale di raggiungere i territori dell’Ue secondo modalità regolari e ordinate… Non è tanto questione di autorizzare persone già presenti alla frontiera a fare ingresso nel territorio, bensì di garanzie legali all’ingresso nel territorio prima della partenza dal Paese di origine o da un Paese terzo. Solo sulla base di tali garanzie i viaggi potranno essere essere sicuri e regolari”.
Fase 1: visti a territorialità limitata e reinsediamento
Si raccomanda agli Stati membri di emettere linee guida nazionali per ridurre la discrezionalità riguardo al rilascio del “visto con validità territoriale limitata”. Questo tipo di visto, già previsto dalla Convenzione Schengen del 1990 (art. 16) e dal Codice Visti dell’Ue del 2009 (art. 25) e valido solo per lo Stato membro che lo ha emesso, può essere rilasciato da ambasciate e consolati degli Stati membri dell’Ue nei Paesi di origine o nei Paesi terzi.
Si raccomanda inoltre di istituire un Programma europeo di reinsediamento[1], cioè per l’accoglienza nei Paesi membri di quote di rifugiati riconosciuti dalle Nazioni Unite, facendoli arrivare da Paesi di “primo arrivo”. Una certa “volontà politica” sviluppatasi negli ultimi 10 anni, e la recente introduzione di programmi nazionali ad hoc (anche se con numeri molto bassi) in vari Stati membri è da considerarsi un segnale positivo.
Fase 2: ingressi protetti
Si raccomanda che gli Stati membri siano incoraggiati a introdurre o re-introdurre schemi nazionali di “ingresso protetto” per coloro che chiedono asilo già nei propri Paesi di origine e per coloro che non riescono a ottenere protezione nei Paesi terzi di primo approdo o di transito. Questi schemi dovrebbero, in linea di massima, seguire l’attuale modello della Svizzera e dovrebbero prevedere anche modalità “supplementari” di accesso alle rappresentanze diplomatiche: richieste on-line, richieste presentate attraverso l’Unhcr oppure ad altre Ong internazionali riconosciute.
Fase 3: maquillage sulla “Direttiva procedure”
Si raccomanda la revisione della Direttiva procedure, con l’introduzione di norme non vincolanti riguardanti le procedure presso le ambasciate, che dovrebbero essere quanto più possibile simili a quelle che regolamentano le procedure in vigore all’interno dei confini degli Stati membri. L’attuale art. 3 (comma 2) della Direttiva, che esclude la possibilità di presentare le richieste di asilo diplomatico o territoriale presso le Rappresentanze degli Stati Membri dallo scopo della Direttiva stessa, verrebbe dunque emendato consentendo, laddove possibile, che anche all’estero siano applicate le stesse norme e le stesse garanzie procedurali in vigore nei territori nazionali. Questa revisione sarebbe finalizzata ad armonizzare le prassi e a stabilire standard minimi applicabili negli Stati membri che hanno adottato schemi di ingresso protetto.
Fase 4: libertà di circolazione con i “visti Schengen”
In una quarta fase, da prevedere in una prospettiva di lungo termine, si raccomanda una revisione del Codice europeo sui visti, introducendo la possibilità di emettere visti di protezione come “Visti Schengen”, che consentano di viaggiare per un massimo di tre mesi in ogni stato parte del sistema Schengen e conseguentemente di fare richiesta di asilo. Anche in tal caso si ridurrebbe il numero dei richiedenti asilo che vengono trasferiti da un Paese ad un altro a norma del Regolamento “Dublino II”, poiché nella maggior parte dei casi la richiesta di protezione verrebbe presentata direttamente nello Stato dove il richiedente asilo vorrebbe recarsi, e che coinciderebbe con il primo Paese di arrivo nell’Ue.
Alla fine di questa “tabella di marcia”, la Commissione dovrebbe proporre una “Direttiva sulle procedure di ingresso protetto” da introdurre in tutti i Paesi membri nel rispetto del principio della condivisione delle responsabilità in linea con l’articolo 80 del Trattato di Lisbona. I requisiti per poter beneficiare dell’ingresso protetto dovrebbero essere innanzitutto basati sulle esigenze di sicurezza personale del richiedente; sul bisogno di ottenere la protezione internazionale; sull’impossibilità di ottenere effettiva protezione nel Paese terzo; sulla vulnerabilità della persona; sui legami familiari che si hanno in uno degli Stati membri; su altri rilevanti legami con uno Stato membro.
Allegato
Forme complementari d’ingresso: i dati disponibili (scheda .xls)
NOTE
1 commento
[…] raccomanda inoltre di istituire un Programma europeo di reinsediamento[1], cioè per l’accoglienza nei Paesi membri di quote di rifugiati riconosciuti dalle Nazioni Unite, […]