A dieci anni dal varo del regolamento “Dublino II”, un rapporto comparativo su 11 Paesi dell’Unione Europea denuncia l’inefficienza (oltre che l’iniquità) dei suoi meccanismi.
Il regolamento Dublino II ha compiuto 10 anni (e li dimostra tutti) ma a livello statistico siamo quasi ancora all’anno zero. A differenza delle statistiche ordinarie sull’asilo, infatti, ancora oggi non tutti i Paesi dell’Unione Europea inviano a Eurostat dati sufficientemente dettagliati per consentire una comparazione degna di questo nome sull’applicazione del regolamento. Ma soprattutto, in molti Stati le autorità non si preoccupano nemmeno di pubblicare le proprie statistiche nazionali (mentre l’invio di dati a Eurostat, almeno questo, è prescritto dalla normativa comunitaria).
E tuttavia, secondo il rapporto Dublin II regulation. Lives on hold, un’indagine comparativa su 11 Paesi pubblicata ieri in occasione del decennale del “Dublino II” da un gruppo di Ong fra cui l’Ecre (European Council on Refugees and Exiles) e in collaborazione, per quanto riguarda l’Italia, con il Cir (Consiglio italiano per i rifugiati), le cifre disponibili consentono di affermare che anche l’effettivo funzionamento del meccanismo del “Dublino II” è alquanto carente.
Fra il 2009 e il 2010 (anni degli ultimi dati disponibili), «a causa della mole di casi pendenti» si è tradotto in un trasferimento effettivo di richiedenti asilo il 35% scarso delle richieste di assunzione di competenza accolte dai “Paesi responsabili”, poco più di un terzo. La percentuale scende ancora se si considera il totale delle richieste di assunzione di competenza, che si sono concluse con un trasferimento effettivo solo nel 26% scarso dei casi, uno su quattro. «Lo scarso tasso di trasferimenti solleva seri dubbi sull’efficienza del sistema Dublino», rileva il rapporto.
Somma zero
Ma c’è di più, perché Dublin II regulation. Lives on hold porta alla luce un altro fenomeno: «I dati dimostrano che alcuni Paesi membri si sono spesso scambiati numeri equivalenti di richieste di assunzione di competenza, ad esempio la Svizzera (che aderisce al sistema Dublino pur non facendo parte dell’Ue, ndr) e la Germania, o la Norvegia e la Svezia». Nel 2010 la Germania ha inoltrato alla Svizzera 306 richieste per riceverne 350 dal Paese elvetico. Mentre la Norvegia, nello stesso anno, ha inviato 458 richieste alla Svezia per riceverne 482. Queste cifre indicano che «malgrado i costi considerevoli e l’impegno burocratico per attuare le procedure di Dublino, alcuni Paesi membri finiscono per ritrovarsi con il medesimo numero di richieste d’asilo da esaminare».
Ma al di là dell’“efficienza”, Dublin II regulation. Lives on hold insiste soprattutto, e nei dettagli, sulle iniquità e sulle sofferenze che l’attuale “regolamento Dublino” genera e moltiplica nell’Europa “faro” di democrazia e libertà. In estrema sintesi: i richiedenti asilo che incappano nelle maglie di Dublino «sono spesso lasciati in una prolungata situazione di ansietà e di incertezza, in condizioni di vita realmente “on hold”, sospese». Quando la cronaca non frantuma brutalmente la misura e l’equilibrio d’analisi degli studi comparativi: com’è successo il 14 febbraio, quattro giorni prima del decimo compleanno del “Dublino II”, a Fiumicino, dove si è dato fuoco un ragazzo di 19 anni, ivoriano, “dublinante”, respinto dall’Olanda in Italia e disperato perché anche da noi la sua domanda d’asilo è stata riifutata.
Dublino III: “Non sarà la rivoluzione”
L’Europa attende ancora, intanto, l’approvazione definitiva del “Dublino III”. Ma non sarà certo il “nuovo” regolamento a ribaltare la situazione. Ha affermato ieri l’Ecre presentando l’indagine Dublin II regulation: «Il regolamento “Dublino III” di prossima adozione contiene miglioramenti significativi, ma mantiene i principi oggi alla base del sistema Dublino e non ne affronterà i difetti. La sua applicazione richiederà un attento monitoraggio da parte della Commissione europea per assicurarne la corretta applicazione nell’Unione».
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