Bologna 2011: in un seminterrato senza finestre un ricercatore norvegese incontra una madre single dell’Eritrea con la figlia di un anno. Fisicamente e psicologicamente provate, sono state da poco respinte dalla Norvegia in applicazione del Regolamento di Dublino. La testimonianza di Ingvald Bertelsen, ricercatore del Noas (Organizzazione norvegese per i rifugiati).
“A Bologna ho incontrato una madre single dell’Eritrea con la figlia di un anno. Poco tempo prima, ma sempre in questo 2011, erano state respinte in Italia dalla Norvegia in applicazione del Regolamento di Dublino. Come molti altri rifugiati in quella zona vivevano in un angusto e spoglio seminterrato senza finestre: un ambiente ovviamente non adatto a una bambina. Questa aveva problemi di salute, addirittura la sua pelle risentiva dell’umidità. La madre era visibilmente abbattuta. Non era riuscita ad ottenere nulla dai servizi sociali perché burocraticamente ‘dipendeva’ da Bari, dove peraltro le avevano già negato assistenza. Ho provato a contattare un avvocato locale, ma senza successo. Poi, un paio di mesi fa, lei e la bambina sono ricomparse in Norvegia, perché in Italia stavano per perdere anche il posto nel seminterrato. Abbiamo sottoposto il caso alle nostre autorità ma abbiamo poche speranze che sarà valutato secondo il diritto di questa donna e di sua figlia di rimanere in Norvegia per ragioni umanitarie: sono state inserite di nuovo nella procedura di Dublino e, in linea di principio, possono essere respinte in Italia da un giorno all’altro”.
E’ la testimonianza a Vie di fuga del ricercatore norvegese Ingvald Bertelsen. All’inizio della scorsa primavera Bertelsen ha curato il rapporto The Italian approach to asylum: System and core problems pubblicato dal Noas (Norsk Organisasjon for Asylsøkere, Organizzazione norvegese per i rifugiati, vedi notizia su Vie di fuga) dopo due missioni nel nostro Paese.
Poi, nei mesi scorsi il ricercatore è tornato in Italia per la terza volta, e ora spera di tornarci una quarta, per redigere un nuovo rapporto sulla situazione dei “returnee“, cioé i richiedenti asilo respinti in Italia a norma del Regolamento di Dublino dopo aver cercato di stabilirsi in altri Paesi dell’Unione europea, oppure in Svizzera o, appunto, in Norvegia. Nell’ultimo viaggio in Italia Ingvald Bertelsen ha visitato un centro Sprar ad Agrigento. Oltre che a Bologna ha incontato alcuni rifugiati anche a Roma. Mentre fra la capitale, Ragusa e Torino ha incontrato vari rappresentanti di Caritas, Migrantes, Centro Astalli e Cir, oltre ad alcuni funzionari pubblici. Vie di fuga lo ha contattato in Norvegia.
Ingvald, come vede oggi da osservatore esterno la situazione italiana per quanto riguarda l’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati? Siamo davvero in “emergenza”?
“Non posso che far riferimento ai rappresentanti delle Ong che ho incontrato. Insistono sul fatto che il vostro Paese ha le risorse per gestire questa situazione, volendo anche dire, con questo, che non ci si può limitare a considerarla un problema politico. Ma c’è dell’altro: può sembrare paradossale, ma non possiamo che trovarci d’accordo, oltre che con le Ong, anche con le vostre istituzioni quando ricordano le responsabilità degli altri Paesi che appartengono al ‘sistema Dublino’, ad esempio la Norvegia, specialmente per quanto riguarda i returnee ‘vulnerabili’. E’ la solita vecchia storia, gli Stati fanno scaricabarile l’uno con l’altro sulla pelle dei singoli rifugiati”.
Nel rapporto The Italian approach to asylum che lei ha redatto per il Noas con la collaborazione di Lixian Cheng si raccomanda: “Alla luce della situazione attuale, che vede un intenso afflusso di profughi dall’Africa verso l’Italia, gli altri Paesi europei dovrebbero coordinarsi per una moratoria dei respingimenti di richiedenti asilo in Italia fino a che non sarà accertato che questo Paese sia in grado di offrire servizi di accoglienza adeguati”. Ma che cosa fanno le autorità norvegesi? Nel solo 2010 hanno respinto in Italia 900 persone. In Germania, ad sesempio, alcuni tribunali hanno iniziato a fermare questi respingimenti.
“E’ proprio questo il punto. E’ paradossale che la Norvegia dichiari con orgoglio di accogliere (pochi) profughi del Mediterraneo e nello stesso tempo ne respinga così tanti in Italia, comprese persone vulnerabili perché malate o traumatizzate, minori non accompagnati e madri single con figli piccoli. Noi ci siamo impegnati in un’opera di sensibilizzazione, ma sino ad oggi con pochi risultati. Del resto, negli ultimi anni la tendenza in Norvegia è questa: un giro di vite sulle politiche dell’asilo, cioè una scelta che comporta anche un notevole impegno nei respingimenti”.
Rifugiati in Italia, rifugiati in Norvegia: leggendo il vostro critico rapporto, si potrebbe obiettare che voi osservatori scandinavi venite da Paesi dove gli standard di vita e quindi, tradizionalmente, di accoglienza, sono più alti…
“Certo delle differenze esistono, ma gli standard di accoglienza non sono tutto. In Norvegia i centri di prima accoglienza non sono poi così splendidi: hanno più fondi ma bisogna anche considerare che i livelli di spesa sono più elevati. A fare veramente la differenza sono le opportunità di integrazione dopo che il richiedente asilo ha ottenuto il permesso di soggiorno. Da noi ognuno riceve alloggio e sostegno grazie a un programma di inserimento nel comune al quale è stato assegnato. In Norvegia il welfare a favore dei rifugiati è sempre stato una responsabilità statale. Certo, da noi il sistema di welfare nazionale soddisfa la gran parte delle necessità a tutti i livelli, non solo per quanto riguarda il diritto d’asilo. Ma offrire opportunità alla categoria dei rifugiati è visto come una priorità. Ho l’impressione che in Italia questo punto di vista non sia mai stato veramente accettato. Anche se poi, naturalmente, la diversa posizione geografica dei due Paesi gioca il suo ruolo in questo contrasto”.
Dal suo ultimo viaggio nel nostro Paese ha riportato qualcosa di positivo?
“In questo settore del diritto d’asilo, in Italia mi ha sempre colpito l’impegno sia degli operatori stipendiati che dei volontari. Il sistema italiano ha delle notevoli lacune, ma dalla creatività e dall’entusiasmo di queste persone la gente del mio Paese ha molto da imparare “.
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